La lotta di Lister: recensione del film di Eddie Martin
La recensione di La lotta di Lister, il film documentario Netflix diretto da Eddie Martin su Anthony Lister, la sua street art e le lotte con lo Stato.
La street art raccontata in tutte le sue più disparate forme: dagli stencil alle bombolette spray che spruzzano sui muri delle città i colori più vivaci e fulgenti, dai lavori monumentali sulle facciate dei palazzi alle tele dipinte con esplosioni cromatiche. La lotta di Lister (Have you seen the Listers? il titolo originale) – documentario distribuito da Netflix e diretto da Eddie Martin – racconta proprio la storia dell’eccentrico artista di strada australiano Anthony Lister e della sua strenue battaglia con i demoni interni che lo affliggono.
La lotta di Lister: ricostruzione artistica ed introspettiva riflessione sulla persona dietro l’artista
Lister vive a Brisbane, è nato e cresciuto nel sobborgo di Keperra ed è stato allevato dalla madre, dal momento che il padre abbandonò la famiglia quando Lister aveva solamente 6 anni. Ad iniziare Lister al mondo dell’arte fu la nonna paterna, una pittrice amatoriale fondamentale nell’insegnare al giovane aspirante artista i trucchetti del mestiere.
Anthony era un ragazzo piuttosto intemperante, si faceva smodatamente di acidi, cocaina e metanfetamine sin da giovanissimo e trascorreva le giornate tra bravate e bagordi in compagnia degli amici fricchettoni. Poi conosce Anika, se ne innamora follemente e ha presto da lei anche un figlio, Kye. Il vero “casus belli”, tuttavia, fu l’occasione di dipingere le cabine telefoniche ai semafori, lavoro per cui Lister ottenne un contratto con finanziamento di 10.000 dollari da parte del comune della città. L’iniziativa ebbe grande successo, mentre Lister iniziò ad inserirsi nella comunità artistica di Brisbane, finché non conobbe Max Gimblett, che lo invitò a New York per proseguire il suo percorso di formazione. Arriva così il successo, il talento di Lister non passa inosservato, le offerte di lavoro si cominciano ad accavallare una sull’altra.
Ma, assieme al riconoscimento e alla remunerazione, nascono altri due figli, il lavoro e i viaggi professionali si fanno più frenetici e l’accudimento ricade sempre più sulla sola Anika. È l’inizio dell’inesorabile tracollo: la relazione si incrina definitivamente e Anika, sfiancata dalla difformità dei due stili di vita, decide di lasciare Lester e di portare con sé i tre figli.
Il desiderio impagabile di poter dare libero sfogo alla propria creatività
Succedono tante cose nella vita, ma ci sono solo pochi ricordi reali. Spero che i miei bambini abbiano più ricordi di me di quanti non ne abbia io di mio padre.
A funzionare con successo sono i tratti profondamente personali della pellicola, declinati con buona abilità registica e che contribuiscono a rafforzare la qualità dell’intrattenimento. Eddie Martin lavora con grande attenzione sulla persona dietro l’artista, sui suoi tribolati rapporti familiari, sulla incomunicabilità di coppia di cui Lister è prigioniero nei confronti di Anika – che pure ama follemente, così come i suoi tre figli. L’assenza quasi totale di una figura maschile di riferimento nella vita di Lister è il nocciolo centrale su cui è costruita la componente emotiva del documentario, che è ben separata dalla ricostruzione dell’attività artistica.
Il lavoro di montaggio, firmato da Johanna Scott, fonde con abilità una serie di filmati amatoriali girati nel corso degli anni dallo stesso Lister, e riesce nella non facile impresa di coniugare con successo gli spezzoni sparsi della vita di Lister, immortalati dalla videocamera in semplici video.
La lotta di Lister resta un discreto prodotto realizzato con buona dose di professionalità e competenze tecniche, ciononostante sono assenti i sussulti tipici del grande cinema. Da ricordare poi sono le variopinte creazioni di Lister, che raffigurano soggetti bizzarri a cavallo tra la pop art e la pittura d’avanguardia. Quella di Anthony Lister è un’arte spregiudicata, aggressiva e fuori da ogni canone classico, caratterizzata da un massiccio utilizzo del carboncino, assieme alla pittura a spray e a quella acrilica. La dichiarazione d’intenti è ben esemplificata dalla sua massima più celebre:
La prima regola della pittura è quella di portare ognuno fuori dall’equazione
La riflessione si sposta inoltre sul conflitto tra organi dello Stato e artisti di strada. Nella natia Australia la tolleranza nei confronti della street art è pressoché nulla, tanto che lo stesso Lister dovette fronteggiare una causa per vandalismo dopo aver affrescato il muro di un palazzo di Brisbane. Ecco così che La lotta di Lister contribuisce a sensibilizzare gli spettatori su un tema come quello dei confini di liceità della rappresentazione artistica: una tag è un’opera d’arte oppure mero sfogo vandalico della propria vena creativa? La risposta è evidentemente prevedibile, il futuro delle arti figurative non lo è per nulla. Per fortuna oseremmo dire.