La meglio gioventù: recensione della serie ora su Netflix

Resa disponibile su Netflix una delle opere - film a puntate, serie tv? – più note di Marco Tullio Giordana: La meglio gioventù. Un’occasione, soprattutto per i più giovani, di scoprire un testo audiovisivo fondamentale della e sulla nostra Storia. 

Sarà interessante capire come i ragazzi che oggi vedono per la prima volta La meglio gioventù, ora disponibile agli abbonati nel catalogo Netflix, reagiranno a un film a puntate pensato per la televisione – ma uscito anche nei cinema in due atti da tre ore ciascuno – che, vent’anni fa, segnò l’immaginario collettivo degli Italiani modulando sul linguaggio popolare profondità estetica e spessore letterario grazie anche a un cast scrupolosamente selezionato. Racconto audiovisivo ‘annalistico’, La meglio gioventù, mandato in onda sulla Rai, dopo un periodo di decantazione, nel 2003, segue i componenti della famiglia romana Carati nell’arco di circa quarant’anni: dal 1966 al 2000. Si concentra, in particolare, sui fratelli Nicola e Matteo, mentre lascia più ai margini Giovanna e Francesca, rispettivamente sorelle maggiore e minore dei due. Quando li conosciamo, anno domini 1966, Nicola, interpretato superbamente da Luigi Lo Cascio, che Giordana aveva accompagnato nel passaggio dal teatro al cinema scegliendolo come protagonista del suo film precedente I cento passi, studia Medicina; Matteo (Alessio Boni, magnetico) Lettere.

La meglio gioventù: su Netflix, vent’anni dopo il passaggio in Rai, il film seriale di Marco Tullio Giordana

La meglio gioventù; Cinematographe.it

Il primo, negli anni in cui s’impone la figura rivoluzionaria di Franco Basaglia, accoglie il magistero di quest’ultimo e sceglie di diventare psichiatra; il secondo, incapace di conformarsi ai codici e agli schemi accademici, abbandona l’università e ‘ripiega’ sulla carriera di poliziotto. I due fratelli, uniti da un profondo affetto, ma forse anche divisi da una latente rivalità – Matteo soprattutto fatica a stare al passo di Nicola, più capace di sintonizzarsi con il desiderio, di muoversi nella società, di sfilarsi dalle pastoie caratteriali e, così, insieme di adattarsi e di evolvere –, organizzano un viaggio per Capo Nord, viaggio che, però, per Matteo, salta a causa di Giorgia (Jasmine Trinca, sublime), giovane con una diagnosi di schizofrenia che il ragazzo si mette in testa di salvare dal manicomio.

Se c’è qualcosa che, oltre all’amore, lega i due fratelli è una comune grammatica idealista, una fede nell’utopia, non luogo del possibile o luogo dell’impossibile, isola che non c’è a cui pure entrambi tendono perché è l’unico modo che conoscono per giustificare le loro vite. Bussola, l’utopia, che conduce l’uno verso l’approdo (in sé stesso) e l’altro verso il naufragio (di sé e, ugualmente, in sé). La meglio gioventù, titolo mutuato da una raccolta poetica di Pier Paolo Pasolini, autore amatissimo da Giordana, mostra come le esistenze individuali, le storie di ognuno, non possano esprimersi se non nella Storia che è (anche) di tutti gli altri, come non possa darsi esperienza soggettiva fuori dal tempo appunto storicamente inteso. Tuttavia, sembra anche dirci che nessuno è riducibile alla sola dotazione ambientale, a un coacervo di circostanze obbliganti. Gli esseri umani, estreme complessità, sono sia come sono, nella loro unicità irriducibile a discorso deterministico, sia sono la risposta soggettiva a ciò che accade loro. E ciò che accade loro dipende, in certa misura, anche dalla Storia, dalla temporalità entro la quale il contratto sociale non solo detta le sue regole e disciplina le oppressioni e le libertà di ciascuno, ma talvolta devia dalla scelta razionale regredendo nella paura e nella pulsionalità.

La meglio gioventù: valutazione e conclusione

Di alcuni degli eventi più significativi del nostro passato, tra cui i disordini degli anni Settanta, anni insieme rivoluzionari e repressivi, sospinti dall’apertura alla trasformazione e da un rigurgito reazionario di violenza, di inabissamento nei gorghi oscuri della violenza guerrigliera, delle mortifere spirali terroristiche, La meglio gioventù registra le (ri)percussioni intime, afferra il rimbalzo sulle esistenze dei singoli. Viene da pensare ad Alessandro Manzoni, che sosteneva che il compito di uno scrittore – e, anche se La meglio gioventù non è scritta da chi dirige, chi negherebbe che fare un film è a suo modo costruire un testo, imbastire una scrittura? – sarebbe quello di ampliare la conoscenza della Storia attraverso la comprensione delle risonanze dei grandi avvenimenti e dei grandi fenomeni sulle interiorità di chi ha dovuto farci i conti sebbene non riportando alcun primato né occupando alcuna posizione protagonistica.

L’operazione di Giordana non forza la mano, non incastra artificialmente accadimento personale e collettivo, ma valorizza l’intreccio tra dimensione appunto storicizzata dell’esistere e dimensione inconscia, atemporale, la contingenza e il mistero incausato di un temperamento e di un dolore. Gli sconfitti – l’irrisolto Matteo, schiavo della sua rabbia; la fragile Giulia (Sonia Bergamasco, in stato di grazia), quasi terrorista, madre abbandonica – sono scortati sulla scena con gesto delicato, nel senso di una compartecipazione alla sofferenza e di un’incrollabile disponibilità alla pietas quale supremo valore non solo morale ma soprattutto drammaturgico. Ne La meglio gioventù, non si tratta di distribuire medaglie o patenti, di distinguere buoni e cattivi, quanto di abbracciare personaggi che, di fronte all’alienazione inevitabile nel compromesso che un discorso di civiltà sempre comporta, hanno saputo con diversa fortuna, più o meno bene, danzare attorno all’angoscia di esserci, negoziare aspirazioni e fattualità, cicatrizzare le mancanze proprie e del mondo, esorcizzare le promesse mancate, le rivoluzioni abortite, le piccole e grandi disumanità con cui la Storia, mostro gigante dell’umano, ha posto agli uomini le sue obiezioni, disposto i suoi sbarramenti. Ciò che salva è, come insegna Nicola, credere “che tutto è bello”, trasformare il sogno non solo in una speranza, ma anche in uno sguardo, in una lente, se non di meraviglia, di salvifica cosmetica del disincanto. È lecito allora chiedersi se, vent’anni dopo, La meglio gioventù sia ancora un ‘bel’ film, un’opera che continua a parlarci – magari anche a interrogarci – e che, nel farlo, lo fa bene, con i mezzi più raffinati per il medium scelto. La risposta è affermativa, malgrado oggi, poiché siamo tutti più avvezzi alla serializzazione filmica di qualità, si fanno notare forse di più certe soluzioni smancerose di sceneggiatura e, talvolta, alcune rigidità di caratterizzazione. 

Regia - 5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 5
Sonoro - 5
Emozione - 5

4.7