La memoria dell’assassino: recensione del film di e con Michael Keaton
La seconda prova da regista di Michael Keaton è un film anomalo e non convenzionale. Camuffato da cupo thriller è in realtà un dramma familiare ed esistenziale a più voci, dolorosamente concentrato su quell’amore che nessuna malattia, violenza o morte può cancellare. In sala dal 4 luglio
A distanza di sedici anni da The Merry Gentleman, Michael Keaton torna una seconda volta dietro la macchina da presa. Lo fa con La memoria dell’assassino, traduzione nostrana del ben più simbolico Knox Goes Away, un progetto piuttosto atipico, incessantemente sospeso tra thriller e dramma, scritto dal Gregory Poirier di Il risveglio del tuono e Il mistero delle pagine perdute. Interpretato dallo stesso Michael Keaton, in compagnia di Al Pacino, James Marsden e Marcia Gay Harden, la seconda prova di colui che un tempo fu Batman, è in uscita nelle sale cinematografiche italiane a partire da giovedì 4 luglio, distribuzione a cura di Eagle Pictures.
Quando l’assassino dimentica, ciò che resta è l’amore
Che Michael Keaton nutra da sempre una sconfinata passione per il cinema noir è cosa nota. Cosa meno nota è il fatto che in ciascuna delle due regie firmate dallo stesso, il sicario non sia mai una figura esclusivamente temibile, bensì capace di improvvisi gesti di gentilezza, amicizia e tenerezza. Accadeva in The Merry Gentleman e si ripete nel cupo e più che interessante La memoria dell’assassino. Qui Keaton veste i panni malandati eppure gentili di John Knox, un killer maniacale alle prese con una rara forma di demenza degenerativa e così con un ultimo caso di morte e violenza da portare a termine, poiché per la prima volta, ad esserne protagonista è proprio la famiglia dello stesso Knox.
Ciò che apparentemente La memoria dell’assassino può sembrare, dunque un thriller dalla scarsa originalità, capace di giocarsi la carta del travagliato rapporto tra un padre ed un figlio, tanto legati, quanto divisi da faccende di sangue, in nome di una qualsiasi forma di serietà, è quanto di più distante possa esserci da ciò che il film di Keaton in realtà è. Infatti, spesso accade che guardando a plot narrativi similari si riesca a sostituire all’interprete protagonista, un qualsiasi altro “uomo d’azione” del genere d’appartenenza. Invece Keaton, che il cinema lo ha fatto e in più di un momento, non accontentandosi d’un semplice passaggio, perfino segnato, entrando nella memoria collettiva degli spettatori, sa molto bene che certi ruoli possono appartenere ad un volto e corpo soltanto, così da risultare insostituibili. È il caso di John Knox.
Il film comincia in medias res. Di John sappiamo molto poco. Ne conosciamo la malattia, la solitudine e inevitabilmente l’impeccabile e spaventosa capacità d’uccidere. Keaton attraverso un solido lavoro di sottrazione, modella il suo John fino all’impenetrabilità, il film infatti parte proprio da qui. Ossia da un linguaggio scarno, eppure sufficiente a svelare sempre più tutte le sue regole e sorprese, fino a raggiungere il gran finale, che sembra rimandare al noto finale di La promessa, terza prova da regista di Sean Penn, tra follia e improvvisa e decisiva consapevolezza di ciò che è stato e forse mai più sarà.
Keaton riflette con grande cura, dedizione e introspezione su ciascuno di questi temi, facendoli propri rispetto alla dolorosa e glaciale interpretazione di John, discutendone in qualche modo anche con lo spettatore, fino a raggiungere la conclusione: Quando l’assassino dimentica, ciò che resta è l’amore, vero a tal punto da non poter essere cancellato nemmeno dalla morte. Prova ne è l’ultimo incontro tra John e l’ex moglie, nonché unico amore della sua vita Ruby, interpretata da Marcy Gay Harden. John è finalmente stato beccato? No, dovrà semplicemente andare via, senza più tornare.
La memoria dell’assassino: valutazione e conclusione
La seconda prova da regista di Michael Keaton, pur poggiando sulla narrazione canonica dell’antieroe in cerca di redenzione, rintraccia la propria originalità non tanto nella costruzione del suo protagonista, piuttosto sulla stilistica, o per meglio dire, estetica registica che modella il film dalla prima all’ultima inquadratura.
Tra formato d’immagine che così come si allarga, si restringe a seconda della condizione psicologica di John Knox e messe a fuoco talvolta confuse e talvolta iper dinamiche, capaci di restituire immediatamente allo spettatore – chiaramente in chiave cinematografica – tutto ciò che una malattia degenerativa può causare, tra tormenti, domande senza risposta e abissi d’oscurità.
Un’idea di cinema quella di Keaton, che prende a piene mani da autori e titoli noti, tra i quali Ho affittato un killer di Aki Kaurismäki, Memento e Insomnia di Christopher Nolan e così anche Remember di Atom Egoyan. Sugli impedimenti della malattia e sulla capacità di uccidere – e poi morire – che mai verrà meno. Poiché come qualcuno una volta ha detto, gli artisti bravi copiano, quelli grandi rubano. Keaton non è da meno ed il suo La memoria dell’assassino è un thriller a tinte drammatiche così definitivamente cupo, tragico e bizzarro, da risultare oltreché interessante, anche fortemente atipico e personale. Solo Michael Keaton in questo preciso momento di vita avrebbe potuto dirigere e interpretare un film come La memoria dell’assassino. È una fortuna che l’abbia fatto, resterà nella memoria, la nostra… certamente non la sua.
La memoria dell’assassino è in uscita nelle sale cinematografiche italiane a partire da giovedì 4 luglio, distribuzione a cura di Eagle Pictures.