La mia Africa: recensione del film con Meryl Streep
La mia Africa è un film di Sydney Pollack del 1985, basato sull’omonimo romanzo autobiografico di Karen Blixen (pseudonimo della Baronessa Karen Christentze Dinesen). La pellicola ha conquistato ben 7 Oscar, inclusi quelli per il miglior film, la migliore regia e per la splendida fotografia di David Watkin, non riuscendo però a centrare nessuna statuetta per i formidabili interpreti principali Meryl Streep, Robert Redford e Klaus Maria Brandauer.
La mia Africa: una storia d’amore senza tempo esaltata dalla suggestiva bellezza di un continente magico e poetico
La giovane Karen Blixen (Meryl Streep) sposa in un matrimonio di interesse il cugino Bror (Klaus Maria Brandauer), al quale è legata da un rapporto di sincera amicizia e con cui condivide l’obiettivo di costruire una fattoria per la produzione di latte in Kenya. Con l’arrivo della nuova coppia in Africa, il rapporto fra i due comincia a deteriorarsi, vittima delle decisione unilaterale di Bror di costruire una piantagione di caffè sul terreno originariamente destinato ad altro e della promiscuità sessuale di quest’ultimo. Parallelamente al progressivo disfacimento del suo matrimonio, Karen comincia a frequentare il cacciatore Denys Finch-Hatton (Robert Redford), spirito libero e indipendente di cui finisce per innamorarsi. Persi fra gli splendidi e poetici panorami del Continente Nero, i due vivranno una storia d’amore fuggevole e fuori dall’ordinario che segnerà per sempre le loro esistenze.
A distanza di tanti anni dall’uscita, La mia Africa può ormai essere considerato un grande classico fra i film sentimentali, capace di incantare e affascinare trasversalmente diverse generazioni. A prescindere dall’età e dall’epoca della visione, il triangolo amoroso fra Karen, Bror e Denys è infatti un’ideale in cui chiunque può riconoscersi, che basa gran parte della propria dirompente forza sulla fuggevolezza, sull’incompiutezza, e su due bisogni generalmente antitetici come il possesso e la libertà. Fra i vari personaggi, a rimanere nel cuore e nella mente è la strepitosa Meryl Streep, che dà corpo, anima e voce a una donna forte e di carattere, ma anche profondamente bisognosa di amore e di un legame stretto, mentre tutto ciò che le ruota intorno sembra essere transitorio e inafferrabile. Attraverso i suoi occhi, che sono anche gli occhi di colei che ha scritto il romanzo su cui è basata la pellicola e di chi ha vissuto la storia sulla propria pelle, vediamo riflesse le immagini di due uomini diversi esteticamente, moralmente e caratterialmente, ma accomunati dallo stesso desiderio di indipendenza e dall’incapacità di rimanere ancorati per lungo tempo nella stessa situazione. Ormai vicino ai 50 anni di età, Robert Redford scolpisce indelebilmente nella storia del cinema un personaggio dal fascino incommensurabile, che con il suo indissolubile legame con la natura incarna l’anima e lo spirito di un continente che ha proprio nell’armonia con la flora e la fauna che circondano i suoi abitanti il proprio punto di forza più importante. È proprio un’Africa da cartolina ad assurgere al ruolo di protagonista assoluta della pellicola, grazie soprattutto alle inquadrature mozzafiato di Sydney Pollack e all’incantevole fotografia di David Watkin, che rendono su schermo tutta la bellezza e la grazia di luoghi ancora non intaccati dalla brutalità e dal caos dell’uomo. La suggestione creata dall’ottima messa in scena e dall’abilità recitativa degli attori (fra i quali merita sicuramente una menzione anche il validissimo Klaus Maria Brandauer) fa passare in secondo piano qualche evidente limite dal punto di vista narrativo, con una storia che risente di qualche clichè di troppo e che a tratti si avvolge in maniera ridondante su se stessa e risente visibilmente dell’importante durata di circa 150 minuti. Un finale non scontato e dal grande impatto emotivo e visivo rappresenta la degna conclusione di una pellicola a cui, al di là dei gusti personali e dei difetti, va riconosciuto il sicuro merito di fare sognare a occhi aperti davanti allo schermo e respirare a pieni polmoni la bellezza delle immagini e la magia del grande cinema.
La mia Africa è semplicemente un must del genere sentimentale, classico e prevedibile nel suo sviluppo, ma al tempo stesso istantanea ovattata e sospesa nel tempo di una terra magica e ammaliante, che diventa il teatro di una storia d’amore capace di toccare anche i più duri di cuore e resa immortale da due dei più grandi interpreti della storia della settima arte.
Non è mai stato nostro. Non è mai stato mio.