La misura del dubbio: recensione del film di e con Daniel Auteuil
Scritto, diretto e interpretato da Daniel Auteuil, La misura del dubbio è un dramma giudiziario avvincente e ottimamente scritto, dove nel cast, oltre a Daniel Auteuil, spicca anche l’interpretazione di Grégory Gadebois. Tratto da una storia vera, adattamento di Au Guet-Apens, chroniques de la justice pénale ordinaire, scritta da Jean-Ives Moyart, con lo pseudonimo di Maître Mô, La misura del dubbio, dal titolo originale Le fil, è stato presentato alla 77ª edizione del Festival di Cannes, prima di arrivare in Italia, dal 19 settembre 2024 con BIM Distribuzione.
Il richiamo della legge e della propria idea di giustizia
Un caso che rimanda alla memoria un errore fatale, un errore che spesso nel mondo della legge e nelle aule di un tribunale rischia di accadere. Se più volte in drammi procedurali abbiamo sentito dire la frase “non è importate che il tuo cliente sia colpevole o innocente, tutti hanno diritto di essere difesi“, La misura del dubbio presenta un avvocato che ha fatto assolvere qualcuno che, poi, libero, è tornato a colpire e a uccidere. Un avvocato, Jean Monier, che decide così come la giustizia penale non faccia più per lui. Monier non dimenticherà mai quanto successo, mantenendo fede alla sua promessa. Ma tutto cambia e la vocazione che ha caratterizzato da sempre la sua esistenza lo porta a tornare di fronte ai giudici e a una giuria, di fronte a un crimine brutale e a un imputato che Monier sa essere innocente. Isolato e ultimo briciolo di rispetto rimasto a una figura esteriorizzata nel più barbaro atto di efferatezza. E che trova poi speranza nell’umanità di chi ha il suo privato senso di integrità morale.
E se Daniel Auteuil è sempre eccelso nei ruoli che interpreta, qui nei panni di un uomo vittima delle proprie certezze, lo stesso bisogna dire di Grégory Gadebois, volto di Milik, personaggio accusato dell’omicidio di sua moglie. La misura del dubbio non riprende le componenti più classiche del cinema francese, e non fa quindi della fotografia e dell’impatto visivo quel congegno di eleganza e raffinata delicatezza che ne è un tratto distintivo. Così come l’indugiare sulla narrazione, su un racconto che procede senza slanci, che si concentra sull’effetto di scene estremamente dilatate per mostrare ogni singolo momento di un’azione che non si sa come si sia svolta. La misura del dubbio non ha tutto questo, e non perché sia un thriller, perché non lo è. Basandosi sul dialogo, su quasi un’unica location, su ripetuti dettagli del luogo e delle dinamiche di quel crimine, ed essendo a tutti gli effetti un legal, La misura del dubbio riesce a essere anche investigativo. E non solo: nella ferocia gelida manifestazione di ciò che una mente distorta e mostruosa trova “normale” e “accettabile”, La misura del dubbio è anche un film carico di un contenuto che non ha a che fare con il genere, che ragiona sul senso di indecifrabile, insospettabile, impossibile
La misura del dubbio e la rischiosa difficoltà di quantificarla
Le testimonianze in tribunale, nel film, diventano indizi, i ricordi gli interrogatori e il caso prende forma e colore, ergendosi come un puzzle che tarda a conquistare un senso. E alle domande che il film pone, alle ipotesi che inevitabilmente lo spettatore vaglia durante la visione, sarà il film stesso a rispondere. È così che La misura del dubbio è avvincente, appassionante, partecipativo. Senza suspence o sorpresa, è necessario sentirsi spettatore inserito in un contesto che cerca di capire di chi prendere le parti. Il colpo di scena sopraggiunge irruente, aggressivo e disorientante. Gli attori, nel tempo che passa, esprimono come verità e menzogna li colpiscono, e come spesso, di fronte alla realtà, non si sappia poi davvero cosa dire, quanto l’apparenza possa ingannare, quanto “il beneficio del dubbio” sia l’unica vera arma a disposizione quando bisogna compiere una scelta. Più dell’intuito, più di una prova e più di un’evidenza, più di quelle sembianze e parvenze che convincono indiscutibilmente.
Se il titolo italiano ha dalla sua questo significato di dubbio, del quanto dubitare di qualcosa dovrebbe far riflettere, è il titolo originale Le fil, tradotto Il filo, ad acquisire valore e profondità. Ma solo alla fine. Solo quando quel “filo” diventa centrale; nel caso, nelle incongruenze che mai possono determinare l’innocenza o la colpevolezza. Il filo del titolo originale è quello che collega ogni cosa, il filo logico che spiega, chiarisce e fa luce. Perché, come lo stesso Daniel Auteil, dando voce al suo personaggio sottolinea, c’era un mondo dietro che nessuno vedeva, che nessuno sapeva, che consumava gli animi in silenzio. Somigliando maggiormente a come i film giudiziari vengono costruiti nel cinema statunitense, ma con meno teatralità, La misura del dubbio fa di quel tribunale un’esposizione più o meno ricca di particolari, una detection sullo svolgere dei fatti, su sospettati e imputati. Concentrandosi maggiormente su ciò che rivelano le persone comuni, lasciando da parte indagini forensi o esami tossicologici, ma palesando quanto contino le impressioni e le congetture. Le stesse che però poi, nel corso del film, si rivelano illusorie e insidiose.
La misura del dubbio: valutazione e conclusione
Con un finale scioccante La misura del dubbio, dal sapore internazionale, coinvolge dalle prime inquadrature, raccontando una storia di vita e di giustizia. Un film che ruota attorno al concetto di realtà, quella più astratta e interiore che si fa strada ancor prima del bisogno di agire. Con riprese dall’alto delle paludi, delle distese di sabbia, dei laghi e dei canneti che caratterizzano la Camargue. Così come le riprese oniriche dei tori camargue, tipici della zona, che simboleggiano tutta quella violenza che avvocato e imputato, insieme contro tutti, sentono addosso. Il toro che carica è quella carica emotiva che arriva, urta, investe e in qualche modo porta a un termine, a un punto, a una fine. Tra flashback, frammenti di memoria e dialoghi contraddittori, il caso del film appare dapprima come tristemente simile a molti altri, rivelandosi poi più complesso, inestricabile e aggrovigliato, semplificandosi solo quando quella verità tanto dibattuta giunge inaspettata e improvvisa.
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