Roma FF18 – La morte è un problema dei vivi: recensione del film di Teemu Nikki
Da uno degli autori più interessanti e commerciali del cinema finlandese, un film incredibilmente cupo, disperato, eppure ferocemente ironico sulla violenza alla quale gli uomini possono abituare le proprie anime, se costretti dalle solitudini e dai drammi della vita. Progressive Cinema
Presentato nella sezione Progressive Cinema interna alla 18ma edizione della Festa del Cinema di Roma e al cinema dal 4 luglio 2024 con I Wonder Pictures, La morte è un problema dei vivi, il settimo lungometraggio da regista del finlandese Teemu Nikki, torna a riflettere tra commedia nera, dramma e buddy movie, tanto sul tema dell’inclusività, quanto su quello delle dipendenze in ogni loro effettiva e disperata conseguenza sulle vite di semplici individui destinati a crollare.
Protagonisti di quest’opera atipica, bizzarra e fortemente contaminata in termini di gioco tra i generi, sono Risto e Arto, due individui soli e inadeguati alla vita, a cui tutto è andato storto. Il primo fa il becchino, soffre di ludopatia e ha un matrimonio in crisi. Il secondo, dopo aver scoperto di essere nato con l’85% di cervello in mene, viene gradualmente abbandonato da tutti, e forse, perfino da sé stesso.
Paradossalmente, sarà proprio la morte a mantenere entrambi in vita, costringendoli a reinventarsi, nonostante gli effetti della crisi e dell’abbandono.
Nel cinema di Teemu Nikki, fin dai tempi di Euthanizer e Il cieco che non voleva vedere Titanic, ciò che più colpisce lo spettatore non è tanto il peso della tragedia che grava sui destini dei protagonisti, piuttosto la forza che questi cercano in ogni modo di rintracciare nell’oscurità della psiche, senza di fatto riuscire a farla propria.
Un tentativo folle e incessante di riscattarsi, che in qualche caso va a segno, un po’ casualmente e un po’, mentre in altri per niente, trasformando gli stessi protagonisti, inevitabilmente, in vittime sacrificali – e sacrificabili – tra sangue, feroce ironia e tragedia.
Arto e Risto, i Simon Pegg e Nick Frost finlandesi
La morte è un problema dei vivi, a partire dal suo stesso titolo, rende chiara fin da subito l’esigenza di dar vita ad un cinema capace di riflettere sulla cupezza e i toni più neri, senza mai sprofondare nel dramma, muovendosi piuttosto efficacemente tra i linguaggi e le estetiche del più classico noir scandinavo e quelle del cinema grottesco, che passa per autori estremamente differenti tra loro, anche in termini di nazionalità e panorama cinematografico, come Frank Oz, John Landis e Hans Petter Moland.
Jari Virman e Pekka Strang, rispettivamente interpreti di Arto e Risto, non possiedono la medesima carica comica del duo formato dai meravigliosi Simon Pegg e Nick Frost. Duo centrale per il cinema di Edgar Wright, Greg Mottola e non solo, eppure, sono quanto di più simile si possa trovare, nello scenario cinematografico attuale. Cattiveria e goffaggine, cinismo e sciocca positività, così come estetica attrattiva, contrapposta ad un’altra evidentemente sgraziata e sconsiderata.
Tutto ciò si riflette su quanto costruito nel corso di una moltitudine di titoli e lavori dal duo Pegg/Frost, che qui rivive in chiave tipicamente finlandese, dunque estremamente distante da un certo sogno britannico/statunitense, poiché molto più direttamente legata ad una narrazione tragica, ferocemente ironica e quasi sempre priva di speranza e salvazione.
Tra echi di Breaking Bad, inevitabile riferimento che si lega tanto al tema della ludopatia, quanto alla pratica lavorativa violenta, necessaria al mantenimento di una famiglia e di un benessere, altrimenti inesistenti, e più in generale del cinema di Nicolas Winding Refn, La morte è un problema dei vivi, forte di una regia asciutta, minimalista, rigorosa e dal ritmo compassato si prende tutto il tempo necessario, per costruire un dramma a tinte noir sorprendente maturo e cupo, su ciò che gli uomini possono commettere se realmente disperati.
La morte è un problema dei vivi: valutazione e conclusione
Un film senza dubbio non memorabile, che riesce nei suoi intenti, conducendo lo spettatore ad un’amara risata sui drammi della quotidianità, che giocando con gli stilemi del cinema finlandese e con una costante contaminazione di genere, dà vita a sequenze di indubbia forza narrativa e originalità, che pur citando i maestri di un certo cinema statunitense e non solo, permettono a Nikki di mantenere un’impronta autoriale immediatamente riconoscibile.