La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata: recensione del film di Rai 1
Ne La mossa del cavallo, tratto dall'omonimo romanzo storico di Andrea Camilleri, l'ispettore Giovanni Bovara dovrà combattere il pericoloso e mafioso sistema che controlla i mulini nella Sicilia di fine Ottocento
La città di Vigata è ormai entrata a far parte dell’immaginario collettivo di tutta Italia, e non solo. Vigata, Montelusa, il mare cristallino e l’assolata campagna siciliana riempiono da 20 anni le serate di tutti gli italiani e fanno da sfondo alle indagini guidate dal Commissario Salvo Montalbano. Ma come era Vigata prima di Montalbano? La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata cerca di dare una risposta a questa domanda, trasportandoci in un tempo lontano, ma che è molto legato al presente.
Edito da Sellerio Editore, La mossa del cavallo è il primo romanzo storico di Andrea Camilleri che viene adattato per la televisione. Una storia ambientata nella Sicilia di fine Ottocento, una decina di anni dopo l’Unità d’Italia, che vede quindi la regione in uno stato di completa confusione. La Sicilia infatti era stata fino a qualche anno prima governata dai Borbone e, con l’Unità, si trova sottomessa a delle leggi e norme che mai erano state introdotte sul territorio. Questo cambiamento improvviso getta il popolo siciliano nel caos più completo, causando non pochi problemi di ordine pubblico. Il romanzo di Camilleri racconta esattamente quel momento: un periodo di crisi, in cui tutti erano alla ricerca del potere e dove la corruzione inizia a farsi strada. Una Sicilia quindi simile al Far West, dove i cattivi hanno gioco facile ed è compito degli sceriffi riportare l’ordine e la legge.
La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata: un western contemporaneo per raccontare un romanzo storico
Protagonista della storia è Giovanni Bovara, siciliano di nascita ma genovese d’adozione. Bovara infatti è nato a Vigata ma da piccolo, a causa del lavoro del padre, si è trasferito a Genova con tutta la famiglia. Cresciuto in Liguria, Giovanni ha perso completamente ogni legame con la sua terra natìa: per questo, una volta tornato in Sicilia come ispettore capo ai mulini, si sente come un pesce fuor d’acqua. Arrivato a Montelusa, l’ispettore scopre immediatamente che la situazione è più complicata del previsto. Entrambi i suoi predecessori sono morti misteriosamente e Giovanni non tarda a capire il motivo: i mulini e la produzione del macinato sono regolati da un sistema criminale ben organizzato, che permette ai vari mugnai di evadere l’odiata imposta sul macinato, detta anche “tassa sul pane”.
Le indagini di Giovanni lo porteranno immediatamente a farsi dei nemici. Don Afflitto, il boss locale, e i suoi compari sono pronti a tutto pur di fermarlo e quando per caso l’ispettore si troverà sul luogo dell’omicidio del parroco della città, il sistema troverà il modo di incastrarlo. L’unico modo per salvarsi sarà quello di sfruttare la “mossa del cavallo”: Giovanni dovrà pensare e parlare come i suoi nemici per riuscire a smascherarli. Ma basterà per assicurarli alla giustizia?
La mossa del cavallo ci trasporta in un’epoca lontana con una ricostruzione storica quasi perfetta: lo scenario, le atmosfere, i costumi. Eppure c’è qualcosa di più. Le città di Vigata e Montelusa post-Unità raccontate da Camilleri diventano nelle immagini dirette dal regista Gianluca Maria Tavarelli, l’ambientazione perfetta per un vero e proprio western. I cavalli, la polvere che si alza con un soffio di vento, gli stivali di pelle e le sparatorie: gli elementi per il classico western all’italiana ci sono tutti, senza però essere esasperati. Il film di Tavarelli infatti non risulta una caricatura di un genere cinematografico, ma riesce a sfruttare al meglio tutte le caratteristiche del western, calandole perfettamente nel racconto di Camilleri e trasformando così la Sicilia di fine Ottocento nel Far West d’Italia.
Il dialetto diventa, in La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata, come simbolo di una cultura: parlare e pensare come i propri nemici
Come sempre accade nell’opera di Andrea Camilleri, il dialetto riveste un ruolo fondamentale e, ne La mossa del cavallo, diventa un vero e proprio protagonista. Giovanni Bovara è ormai un uomo del nord a tutti gli effetti: nonostante sia nato in Sicilia, l’uomo non ha mai parlato il dialetto e riscontra non poche difficoltà nel capire cosa dicano gli altri una volta arrivato a Montelusa. Ma solo capendo come ragionano i suoi nemici, e quindi come comunicano e parlano, Giovanni riuscirà a trovare il modo di smascherarli.
A interpretare l’ispettore Bovara è Michele Riondino, volto noto del mondo di Camilleri dopo che ha vestito i panni del giovane Commissario Montalbano. L’attore questa volta si è dovuto cimentare in una missione quasi impossibile: passare dal dialetto genovese a quello siciliano, e viceversa. Già perché il dialetto non è solo una lingua, ma è un vero e proprio mezzo di comunicazione. Il dialetto rappresenta una cultura particolare, è il simbolo di un immaginario preciso, al quale attingono tutti coloro che parlano appunto lo stesso dialetto. E qual è il modo migliore di combattere i propri nemici se non quello di ragionare nel loro stesso modo? La “mossa del cavallo” consiste proprio in questo: cercare di parlare la stessa lingua, calarsi in un mondo diverso, in un contesto sociale e linguistico particolare, lontano dal proprio. E Giovanni Bovara dovrà imparare a farlo.
La mossa del cavallo – C’era una volta Vigata verrà trasmesso in prima serata su Rai 1 lunedì 26 febbraio. Nel cast, oltre a Michele Riondino, troveremo Ester Pantano, nei panni della bella ma pericolosa vedova Cicero e Antonio Pandolfo in quelli di Padre Carnazza, uomo tutt’altro che santo. Ma anche Maurizio Bologna, Maurizio Puglisi, Filippo Luna, Giancarlo Ratti, Giuseppe Lanino, Cocò Gullotta, Angelo Libri e Roberto Salemi.