FESCAAAL 2021 – La nuit des rois: recensione del film di Philippe Lacôte
Presentato come film di apertura della trentesima edizione del Fescaaal - Festival Cinema Africano, Asia e America Latina, La nuit des rois racconta l'ultima notte del dangorò in una prigione della foresta ivoriana.
Un lungo sogno di novanta minuti che con il tocco dorato di Philippe Lacôte accompagna lo spettatore in un viaggio di sopravvivenza. La nuit des rois è il film d’apertura del Fescaaal – Festival Cinema Africano, Asia e America Latina, che giunto alla sua trentesima edizione ha deciso di trasmettere vicinanza, in un momento di grande isolamento sociale, invitando a non perdere la speranza di un mondo migliore e a condividere nella fratellanza le ricchezze di un mondo che la programmazione permette di avvicinare. “Nulla impedirà al sole di sorgere ancora, neanche la notte più buia, perché oltre la nera cortina della notte c’è un’alba che ci aspetta“ ha detto André Siani, presidente dell’Associazione COE, nella conferenza di presentazione del Festival tenutasi online l’11 marzo scorso. Tutti i film in concorso saranno disponibili dal 20 al 28 marzo 2021 sulla piattaforma online MYmovies.
Il film di Lacôte, in gara nella Sezione Flash del concorso, ha ottenuto una menzione speciale nel Festival International du Film Francophone de Namur (2020) e il Grand Prize Winner nell’Afrykamera Film Festival (2020).
La nuit des rois: Koné Bakary diventa Sherazade nell’ultima notte di luna rossa
Nella silloge favolistica de Le mille e una notte il Re di Persia Shahryar, tradito da una donna, decide di vendicarsi consumando ogni notte un rapporto sessuale con una giovane schiava diversa. Al sorgere di ogni nuovo sole, le fanciulle vengono giustiziate dai sottoposti del Re. Sherazade, la figlia maggiore del Grand Visir, escogita un piano per raggirare il Re e si offre volontaria per consumare l’orrendo cerimoniale. Per mille e una notte la giovane riesce ad evitare la morte raccontando una storia che sembra non avere fine, interrompendosi all’alba e riprendendo la narrazione la notte seguente, intrattenendo l’ascoltatore, schiavo della curiosità.
Philippe Lacôte riprende la storia della giovane Sherazade per raccontare La nuit des rois nella prigione “La Maca”, nel cuore della foresta ivoriana, governata da un rigido ordine gerarchico su cui si impone l’autorità del dangorò, il boss Barbanera. Quando un giovane (Koné Bakary), membro della gang criminale dei “microbi” nella periferia del Quartiere Fuorilegge, viene catturato e imprigionato, il dangorò, ormai malato e prossimo alla morte, lo chiama nel suo padiglione e lo designa come il nuovo “Roman”, cui spetterà il compito di raccontare una storia agli altri detenuti. La notte di luna rossa diventa per il dangorò l’ultima occasione di versare sangue: al concludersi del racconto il giovane verrà giustiziato. Per salvarsi il ragazzo inizia a raccontare la storia di “Zama King“, il leggendario fuorilegge figlio di Soni, consigliere cieco della regina che per evitare la morte aveva finto di saper parlare il linguaggio delle stelle. L’istinto alla sopravvivenza del giovane Roman lo porta ad articolare un racconto al limite dell’onirico, una narrazione in divenire che si arricchisce, nel viaggio, di un arazzo di forme e colori, sprigionati da personalità prorompenti e vivide costrette tra mura di cemento.
L’ars oratoria come fonte di salvezza: il potere della parola sull’essere umano
“Siamo sempre qualcosa, prima di essere in grembo”
La nuit des rois è un racconto lineare che gode della memoria, una memoria inventata capace di tenere in vita colui che sa giovare del suo immenso potere. La storia narrata dal giovane Roman non ha origine né termine, nasce e si realizza per volere del suo oratore, senza confini di spazio o tempo: sospesa, in bilico sulle labbra della volontà, sembra di vederla -fiera, materica- al centro della tela nera dei nostri occhi chiusi, che vive e respira della sua estrema potenza immaginifica e visiva. Ad armonizzare l’arte del racconto contribuisce l’esaltazione dei prigionieri, ritratti nel loro stato di trance emotiva, che con danze, canti e grida viscerali compongono il quadro coreutico e corale come corollario all’intera narrazione delle Res gestae di Zama King. La regia secca e penetrante di Philippe Lacôte ritrae la pervasività della tradizione della Costa d’Avorio tra le mura di cemento di “La Maca”, la dimensione rituale che il racconto ancestrale del “griot” assume per l’uditorio: “L’Africa è forse l’ultimo teatro antico di oggi, dove la tragedia e gli interessi del potere si manifestano allo stato grezzo, frontalmente e con forte impatto visivo”.