La ricetta italiana (The Italian Recipe): recensione del film cinese girato a Roma

Mandy, aspirante chef cinese nata e cresciuta in Italia, e Peng, giovane popstar capricciosa, si incontrano per caso a Roma. Li aspetta una magica nottata piena di imprevisti.

Il principale motivo di interesse – e di successo – di La ricetta italiana è legato a pregi “extrafilmici”, non strettamente connessi alla trama e al suo svolgimento. Si tratta infatti della seconda coproduzione ufficiale tra Cina e Italia, uscita a inizio giugno in ben 9000 cinema cinesi, durante il primo vero weekend di riapertura delle sale dopo la serrata causata dal Covid. Non è quindi un caso che il 24° Far East Film Festival di Udine l’abbia scelto come opera di apertura, elevandolo a modello per la ripartenza di un’industria in affanno e di una kermesse forzatamente ridimensionata nelle ultime due edizioni (sempre, naturalmente, a causa del Coronavirus).

Tratto dal romanzo di Alberto Simone Un amore a Roma, La ricetta italiana è una commedia romantica che cavalca senza grandi tormenti molti degli stereotipi legati agli italiani e ai cinesi, destinata a un pubblico principalmente asiatico ma delicatamente e coraggiosamente anche interessata ad affascinare le platee nostrane. E in effetti il fatto che la regista – esordiente – Hou Zuxin abbia potuto usufruire di una troupe mista, dividendosi tra Cina, Italia, Germania e Stati Uniti, conferisce alla pellicola un tipo di sensibilità internazionale non trascurabile.

La ricetta italiana: le Vacanze Romane di Peng e Mandy

Lo spunto di partenza sono, ovviamente, le Vacanze romane di Audrey Hepburn e Gregory Peck, dirette nel 1953 da William Wyler e divenute come ben sappiamo iconiche. Non siamo (fortunatamente, aggiungiamo) dalle parti del remake, ma dell’omaggio scherzoso e consapevole: la storia ruota tutta attorno all’incontro/scontro tra Peng e Mandy, entrambi di origine cinese ma destinati inizialmente alla totale incomprensione. Questo perché mentre lei è nata e cresciuta in Italia, gira in Vespa, conosce la Capitale come le sue tasche e si alterna tra tre lavori per mantenersi gli studi, lui piomba in città come un alieno, popstar schiavo dei social e circondato da yes men pronti a esaudire ogni suo capriccio.

I due personaggi rappresentano un po’ i due stili coesistenti del film, che oscilla e balla di continuo tra la classica e a suo modo accomodante commedia “all’italiana” degli imprevisti, agrodolce e in fondo ottimista, e l’umorismo un po’ isterico e glam della comedy cinese contemporanea (che fa sfracelli in patria, considerata anche la stringente censura di regime che vieta diversi generi cinematografici in quanto “pericolosi” per il pubblico). Quello tra Mandy e Peng è un contrasto basato sull’immancabile gioco degli opposti che si attraggono e finiscono per arricchirsi vicendevolmente, tra la preparazione di una torta – Mandy vuole diventare chef e ama Cannavacciuolo – e un giro per i vicoli di Trastevere.

Gettando un ponte tra due culture solo in apparenza agli antipodi

A voler scavare un po’ più in profondità non si fa di certo peccato, anche se si rischia di sovrainterpretare le reali intenzioni iniziali. È interessante ad esempio constatare come entrambi i personaggi principali appartengano a una generazione alla perenne ricerca della propria identità e di un’opportunità di vita: da un lato c’è una ragazza scissa tra la famiglia d’origine (vale qui la pena ricordare che le comunità cinesi di Roma e Milano sono tra le più grandi d’Europa e offrono un ricco bacino di figli della diaspora) e la sua ormai totale appartenenza a un Paese di cui si sente pienamente cittadina; dall’altra un giovane che spera e cerca di emergere in una nazione e in un contesto totalmente spersonalizzante e che tende a considerare l’anonimato come un nobile obiettivo da raggiungere.

Questi però sono ragionamenti “a posteriori”, che non scaturiscono cioè dalla visione diretta del film. Anche perché La ricetta italiana decide anzitutto di veicolare un messaggio di diversa natura, certamente più superficiale ma non per questo sbagliato: il segreto è inseguire sempre i propri sogni, sfuggendo ai richiami vuoti delle sirene ingannevoli che oggi incantano i giovani a ogni latitudine. Il resto lo fa una nottata piena di imprevisti, la magia della città eterna (si va dal Colosseo a Trinità dei Monti, dalla Fontana di Trevi al Cimitero Monumentale) e una trama che scivola progressivamente e inesorabilmente verso un semplice e soddisfacente romanticismo. Sulle note nostalgiche e malinconiche della colonna sonora di Nuovo Cinema Paradiso, composte da Ennio Morricone.

Regia - 3
Sceneggiatura - 2.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 2

2.9