La rivincita, recensione del film di Leo Muscato disponibile su RaiPlay
Da giovedì 4 giugno è disponibile su RaiPlay, "La rivincita", primo lungometraggio del drammaturgo Leo Muscato.
All’interno del progetto “La Rai con il Cinema italiano – Otto film di Rai Cinema in esclusiva su RaiPlay”, il servizio pubblico rende disponibile in streaming il lungometraggio, ad oggi inedito, di Leo Muscato, drammaturgo e regista teatrale che con La rivincita, basato sull’omonimo romanzo di Michele Santeramo, si misura per la prima volta con i linguaggi del cinema.
Ambientato a Martina Franca, in uno scenario campestre tanto splendido quanto socialmente depresso, il film segue le vicende di due fratelli, Vincenzo (Michele Cipriani) e Sabino (Michele Venitucci), e delle loro rispettive compagne Maja (Deniz Özdoğan) e Angela (Sara Putignano). Quattro esistenze che fanno i conti con la precarietà: i soldi scarseggiano, il territorio è soggetto alle regole del malaffare, le prospettive lavorative sono esili o del tutto assenti. Una coppia sogna di avere un figlio e non può, l’altra ne ha già uno ma spesso fatica ad identificarsi con il ruolo genitoriale e a viverlo senza ombre.
La rivincita: storia di quattro esistenze precarie in una terra bella e ferita
L’esasperazione, più che i vincoli famigliari, unisce le vite dei quattro protagonisti, sfibrati nel tentativo di aggiustare esistenze improvvisate, prive di progettualità: i dialoghi tra loro sono spesso gridati, i sentimenti irrigiditi in canali espressivi monotonamente esacerbati. Il film, pur intendendo rappresentare una parte d’Italia inerte e soffocata dalla miseria, non trova né il giusto slancio né il giusto punto d’osservazione per elaborare un’analisi compiutamente sociologica, rinunciando ad articolare una riflessione complessa e finendo per asserire, anziché evocare, un’oppressione più esibita che interiorizzata. Così la frustrazione che sperimentano i personaggi appare solo esteriore, affidata a parole che suonano troppo definitive e stentoree per poter essere autentiche.
La scrittura, poco mimetica, sconfessa l’apparente impianto realistico della storia e le interpretazioni enfatiche concorrono a collocare il film in una direzione anti-naturalistica, monocorde nei suoi registri e con soluzioni narrative sulla carta interessanti ma realizzate in modo esclusivamente formale, senza profondità né dinamica. Sarebbe stato opportuno, forse, nel passaggio dal libro al film, individuare un taglio più deciso, scegliere se imbastire un racconto d’impegno civile o se, invece, allestire un dramma famigliare in cui indagare la relazione fraterna e le sue ambivalenze.
Il laccio tra sofferenza emotiva e desolazione sociale appare troppo blando in quanto il discorso sociale non è qui saldato con quello personale né il particolarismo antropologico con l’afflato intimo. La rivincita sembra, dunque, mancare tanto di potenza quanto di levità nonché di un focus preciso su quel che si vuole comunicare. È un’opera che resta fino all’ultimo sospesa nell’indecisione delle intenzioni. I personaggi scontano la caratterizzazione poco cesellata e la quasi totale assenza di stratificazione psicologica: sebbene con qualche eccezione, perlopiù respingono, rendendo difficile parteggiare per le loro rivendicazioni o sintonizzarsi con le loro inquietudini. Le note del brano No potho reposare, canto d’amore appartenente alla tradizione sarda, riarrangiate e interpretate da Paolo Fresu sul finale, impreziosiscono ma non salvano un film poco riuscito, che si farà dimenticare in fretta.