La Rosa dell’Istria: recensione del film Rai di Tiziana Aristarco
La Rosa dell'Istria è un dramma familiare che diventa pretesto per raccontare la storia di una giovane donna, ma anche la tragedia delle foibe.
Il Novecento italiano torna prepotentemente sullo schermo dei canali Rai con una lunga serie di titoli recentemente trasmessi in palinsesto. Difficile dimenticare la splendida serie La Storia, ispirata all’opera omonima di Elsa Morante, ma anche il recente La lunga notte – la caduta del Duce, una miniserie amata dal pubblico e dalla critica. Con La Rosa dell’Istria torniamo indietro alla fase finale, ma non meno complessa socio-politicamente, della Seconda Guerra Mondiale, rivivendo uno dei più tragici genocidi della storia italiana. Le foibe, a pochi giorni dal Giorno del Ricordo che cade di sabato 10 febbraio 2024, ritornano prepotentemente sullo schermo attraverso lo stratagemma di una storia familiare.
Al centro della trama c’è, infatti, la storia della famiglia Braico, appartenente alla medio-borghesia istriana ma costretta a rifugiarsi dapprima a Cividale del Friuli e poi in Veneto a causa dell’invasione capitanata dal maresciallo comunista jugoslavo Tito. Una parentesi di storia vera che non viene mai mostrata apertamente, ma solo attraverso le emozioni dei protagonisti. La famiglia Braico, guidata nelle sue peripezie dal padre Antonio (Andrea Pennacchi), è il pretesto per raccontare la macro-storia attraverso gli occhi di vittime, cittadini qualsiasi costretti ad abbandonare la loro vita e il loro lavoro per trovarsi in un’Italia lacerata e straniera. La storia è una trasposizione efficace, operata dalla regista Tiziana Aristarco, del romanzo autobiografico della sopravvissuta istriana Graziella Fiorentin, Chi ha paura dell’uomo nero.
La Rosa dell’Istria: la micro-storia e la macro-storia si fondono in un film in bilinco tra il dramma familiare e il racconto di formazione
La Rosa dell’Istria è un melò di generi, un equilibrio che riesce a tenere in piedi il lungometraggio nonostante rischi di sbilanciarsi in vari momenti della sua durata. Ma la Aristarco riesce a mantenere l’equilibrio e il ritmo narrativo senza mai perdere controllo della sua creatura, facendosi sentire ma anche scomparendo dietro la macchina da presa e al montaggio per lasciare spazio alla storia, in particolar modo ai suoi personaggi, vero propulsore e ruota motrice dell’opera. In particolar modo, La Rosa dell’Istria diventa interessante nel suo passaggio da una storia all’altra, dal lungo flashback che costringe alla fuga dalle foibe alla nuova vita della famiglia Braico in Italia: la loro difficoltà nel trovare un posto nella società, la stabilizzazione, la creazione di legami umani e il racconto di formazione che ha come protagonista la giovane Maddalena (Grace Kicaj, al suo esordio sullo schermo).
Maddalena comincia la sua storia da appena diciottenne e percorre le tappe del passaggio da adolescente a donna indipendente, cambiando insieme al paesaggio circostante, combattendo per costruire la sua vera identità. La giovane si rifiuta di seguire le orme del padre e resta affascinata dalla vita dell’artista ebreo Leonardo (Eugenio Franceschini), che la convincerà ad abbandonare la casa di famiglia per seguirlo a Padova e dipingere insieme. Ma la determinazione di Maddalena viene fuori quando riconosce in un cinegiornale, alla fine della guerra, un volto familiare con il quale desidera disperatamente ricongiungersi e credeva di aver perso per sempre. Nessuno potrà fermarla e mettersi tra lei e ciò che desidera ritrovare. La sua storia è ammirevole e colpirà, per la sua purezza e forza, l’animo del pubblico.
Un genocidio raccontato senza scene di violenza, ma reso efficace dallo sguardo e dai silenzi
Tiziana Aristarco porta avanti una storia intensa, di guerra e sofferenza, ma anche di conflitto generazionale e crescita: è così che mette insieme il racconto di formazione e il dramma familiare mettendoli sullo sfondo di un dramma storico senza precedenti, una tragedia reale e ricordata con dolore dalla memoria collettiva del paese. Nonostante la grande palpabilità di questo terrificante genocidio perpetrato dagli slavi comunisti, convinti che gli italiani residenti in Istria fossero fascisti, le immagini di violenza non vengono mai palesate sullo schermo. Una scelta dovuta sia alle esigenze di trasmissione che alla preferenza artistica e narrativa di lasciarle aleggiare nell’aria, comunicandole e suggerendole attraverso gli sguardi di Maddalena, narratore principale, e i personaggio che la circondano. Lo sguardo dei reduci, i loro silenzi e le loro lacrime, bastano a ricreare quell’orrore senza mostrarlo. Una impresa registica riuscita, rischiosa, che però pone La Rosa dell’Istria alla fruibilità di un pubblico più ampio, che necessita maggior delicatezza come quello dei giovanissimi.
Il prodotto Rai non è una pellicola da Oscar, ma riesce a cogliere nel cuore di una tragedia storica, ponendosi in posizione apolitica, ma decisamente contraria a qualsiasi tipo di violenza.
La Rosa dell’Istria: valutazione e conclusione
Raccontato con stile e delicatezza, suggerendo la violenza invece di mostrarla, La Rosa dell’Istria è una pellicola di formazione che appassiona e convince, riuscendo al contempo nell’operazione di restituire una coscienza storica che gli eventi in atto nella storia presente devono tenere in considerazione. Con amore e perizia, ma anche tanta educazione, la regia di Tiziana Aristarco porta sullo schermo il genocidio e le sue conseguenze sui gruppi umani, la società e l’animo del singolo, segnato a vita da un dolore profondissimo e generazionale.