La Ruota delle Meraviglie: recensione del film di Woody Allen
La Ruota delle Meraviglie (Wonder Wheel), il nuovo film di Woody Allen targato Amazon Studios e al cinema dal 14 dicembre con Lucky Red, è un dramma al femminile venato di ironia
Ognuno recita la propria parte, immerso fino al collo nella laguna della propria esistenza, col volto compresso contro le pareti di una maschera che alle volte stenta a reggere il peso dell’intera e complessa personalità, eppure a questo lo spettatore non deve far caso (o meglio, se non vuole può anche non farlo) poiché a contrastare tutta quella fangosa parabola di noia e sogni infranti provvede una sfavillante e allegra location, quella della Coney Island degli anni ’50.
All’interno di questa cornice amara, elegantemente stereotipata e laccata di gioia Woody Allen crea i presupposti per dare vita al suo nuovo film, La Ruota delle Meraviglie (Wonder Wheel), servendosi di una magnifica Kate Winslet la quale, nella sua formidabile interpretazione di Ginny, riesce a far affiorare tutte le venature di una donna stanca di rimandare le proprie ambizioni attoriali, ma che d’altra parte pare cullarsi nella sua impossibilità, come in un’inconscia consapevolezza di non essere in grado di raggiungerli.
Srotolando dinnanzi a noi l’atmosfera carnevalesca di un parco divertimenti e il fascino irresistibile degli anni ’50, Allen mette in scena il suo dramma metacinematografico dal quale sembriamo rimanere perennemente ai margini per via di una serie di rimandi e aneddoti che ci sottolineano con la penna blu la necessità di rimanere al di fuori della quarta parete, salvo essere irrimediabilmente travolti da quel capriccio scosceso che è la tristezza: ragnatela nella quale tutti i protagonisti sembrano essere imbrigliati.
La Ruota delle Meraviglie: un dramma al femminile in cui la pazzia si macchia di tragica comicità
La Ruota delle Meraviglie, titolo buffo e azzeccato, trova in Mickey Rubin (Justin Timberlake), lo studente di drammaturgia e aspirante scrittore che fa il bagnino in estate, un narratore omodiegetico che con fare allegro ci presenta Ginny, immersa in un sistema di autodistruzione di cui la tristezza e la rovina consenziente sembrano essere satelliti naturali. Ciò che più attira di questa donna, che per sopravvivere fa la cameriera, è che cerchi di apparire a tutti i costi per ciò che le piacerebbe essere senza di fatto far nulla per cambiare. Nel suo cuore è un’attrice di talento costretta a mettere da parte la carriera per il bene del figlio, è una moglie insindacabile e un’amante ineccepibile, ma questa è solo una delle sue tante maschere e lei lo sa bene. Sul fondo della personalità di Ginny si poggia solamente una patina di sano egoismo e amor proprio, qualcosa che la spinge a volere di più e a cercare di meglio. Così il marito Humpty (Jim Belushi) è solo una pezza d’appoggio: un uomo che la ama e che ripone in lei tutte le speranze, credendo di conoscerla e che tra loro ci sia sana sincerità, ma così non è.
Woody Allen usa il triangolo amoroso per mostrare il meglio e il peggio dei suoi personaggi.
Gli occhi della passione che traslitterano nell’anima il nodo alla gola del primo fatidico incontro sono gli stessi che notano l’oppressione soffocante di chi cerca nei sentimenti non la libertà di un abbraccio, ma l’appiglio eterno, sicuro e soffocante di una catena.
In questa prospettiva, se il fulcro di ogni vicenda è la personalità di Ginny, il deus ex machina è niente meno che il fato, al quale la mano umana dà certo una spintarella, quella minima che basta a far filare tutto liscio!
Tornando ai rapporti umani, la trama de La Ruota delle Meraviglie si inerpica su più piani partendo dal rapporto classico tra marito e moglie fatto di piatti da lavare, eventi ai quali partecipare o meno, figli (uno, che Ginny ha avuto dal suo precedente matrimonio) da educare. Da qui si giunge poi al rapporto di puro svago, che è quello che nasce tra Ginny e il suo amante Mickey, molto più giovane di lei e ancora a quello che quest’ultimo va a costruire con Carolina (Juno Temple), la figlia di Humpty tornata tra le braccia del padre per sfuggire al marito (un gangster dal quale ha divorziato e che adesso vuole ucciderla per aver rivelato dettagli della sua attività all’FBI). È chiaro che in questo groviglio di lenzuola si vada a inserire il rapporto scontroso tra Carolina e la sua matrigna, in un’esplosione di personalità che in fondo non farà altro che mettere su due piatti della bilancia due donne diverse per età, esperienze e stile di vita.
Così da una parte abbiamo Carolina: giovane, bella e, nonostante abbia già un divorzio alle spalle e sa bene di aver fatto delle scelte sbagliate, non si perde d’animo e guarda verso il futuro. Anche i colori che la circondano e le circostanze nelle quali Mickey la incontra trasmettono questa idea di ricominciare da capo. Ginny, al pari della figliastra, sa di essere in quella situazione per colpa sua (non doveva tradire il marito con un attore!) ma, invece di voltare pagina, si riduce a piangersi addosso e ad arenarsi tra gli scogli di una relazione clandestina che non può darle ciò che desidera.
La Ruota delle Meraviglie: la vita pretende dinamicità!
Incrociando lo sguardo delle due donne, lo stesso Mickey a un certo punto diventa un narratore poco affidabile e la sua unica attrazione sembra essere dettata dal passato delle donne, come se valesse di più – anche per lui – l’apparire e non l’essere (aver viaggiato il mondo e aver vissuto nel lusso è di gran lunga più emozionante di aver tentato di recitare senza fortuna!).
Alla malinconia latente dei suoi personaggi in La Ruota delle Meraviglie Woody Allen abbina (con l’aiuto di Vottorio Storano) delle riprese che portano la sua indistinguibile firma, tratteggiate come cartoline di un’altra epoca e intramezzate da una fotografia fatta di colori pastello la cui leggiadra allegria ben si alterna alla tristezza interiore. Stessa operazione viene compiuta dalla colonna sonora: una scia di rocambolesca musicalità che tenta di stemperare con ogni suono la vita facendola apparire per ciò che vorremmo fosse; una messinscena dalla quale ci si può dissociare.
E invece no! Come su una ruota panoramica (che domina le location del film) l’essere umano si trova prima in basso, poi in alto, poi di nuovo in basso. E gli capiterà di meravigliarsi, magari in positivo o forse in negativo, ma alla ruota non importa perché essa continua a girare, manovrata dalla fisicità dell’uomo che la comanda e coadiuvata discretamente dal destino. Scendere significherebbe farla finalmente finita, ma la vita pretende dinamicità!