La Santa Piccola: recensione del film di Silvia Brunelli
Erotismo e sacralità si accavallano nell'opera di Silvia Brunelli, coraggiosa e tragica.
La Santa Piccola di Silvia Brunelli, già presentato alla Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, che dal 2012 sostiene la produzione di opere prime e seconde a low budget e presentato come evento d’apertura alla XX edizione del RIFF – Rome Indipendent Film Festival, diretto da Fabrizio Ferrari.
Il film è ambientato nella soleggiata Napoli, dove Mario e Lino, amici inseparabili, vivono giorni che si susseguono tutti uguali tra difficoltà familiari, sentimentali e lavorative. Tutto cambia quando la sorellina di Lino, Annaluce, inizia a compiere miracoli, venendo riconosciuta come la santa protettrice del rione. L’opera prima di Silvia Brunelli, tratta dal libro omonimo di Vincenzo Restivo racconta, parallelamente a una storia di miracoli e santità, un percorso di scoperta sentimentale-erotica di due amici.
Erotismo, bellezza, sacro e profano
La pellicola si apre durante una processione religiosa guidata da Don Gennato (Gianfelice Imparato) quando una colomba si schianta sulla statua della Madonna e precipita a terra esanime. Una bambina, dagli occhi chiari e i capelli biondi, le si avvicina, le fa una carezza e la colomba prende il volo, per tutti è un miracolo. La piccola si chiama Annaluce (Sophia Guastaferro), ha nove anni e, dopo quell’evento inspiegabile per tutti, gli abitanti del rione lei diviene “la santa piccola”. Tra coloro che credono al miracolo vi è anche la madre di Annaluce, Perla (Pina di Gennaro), la quale dopo un secondo miracolo della figlia esce dallo stato depressivo che l’affliggeva. Terzo e ultimo membro della famiglia della santa è Lino (Francesco Pellegrino), fratello maggiore di Annaluce, molto protettivo nei suoi confronti, che sogna di poterle offrire una vita fuori dal Rione, dalle case vecchie che hanno l’odore di metano e da coloro che danno più peso alle superstizioni che alle buone azioni. Lino cerca di occuparsi al meglio della sorellina e della madre lavorando come corriere, il tempo che non passa a casa lo divide con l’inseparabile amico Mario (Vincenzo Antonucci), con cui condivide la passione per il calcio, le serate in discoteca ed esperienze sessuali. Lino inizia a prostituirsi coinvolgendo l’amico del cuore Mario nel mondo sommerso degli adulti, un mondo sporco, carnefice dell’innocenza dei due giovani, i quali cercano solo di sopravvivere e occuparsi di coloro che amano, anche quando non sono ricambiati i loro sentimenti.
Mentre Lino viene divorato dall’abisso di un mondo fatto di violenza, dove anche l’amore viene ucciso, la sua casa diviene a lui inaccessibile, trasformata dalla madre in una meta di pellegrinaggio per orde di fedeli che chiedono ad Annaluce di pregare con loro per ottenere la grazia e in cambio le portano giocattoli, sfogliatelle e soldi. Lino trova cos rifugio da Mario, il quale nel frattempo è sempre più turbato dai suoi nuovi sentimenti per l’amico.
La Santa Piccola: un’opera coraggiosa tra apollineo e dionisiaco
La Santa Piccola è una favola dolceamara che unisce erotismo, bellezza, brutto, sacro e profano all’interno del Rione Sanità. Brunelli realizza un affresco umano muovendosi tra elementi opposti che dialogano fra loro. Scritto a quattro mani dalla regista e Francesca Scanu, il lungometraggio alterna la santità della piccola Annaluce, rinchiusa nella sua cameretta dai toni caldi e luminosi davanti a una madonna con l’aureola che si illumina con un neon blu; alla carnalità, cruda e fredda, dove i quadri sapienti creati mostrano i corpi di Lino e Mario, essi vengono studiati, analizzati, da uno sguardo sensibile il cui scopo non è il godimento o la bellezza, ma esporre la vulnerabilità che si nasconde dietro la loro virilità. Francesco Pellegrino e Vincenzo Antonucci, rispettivamente Lino e Mario, danno prova della loro grande capacità interpretativa restituendo sullo schermo una recitazione irrequieta la cui fisicità esposta e disinibita appare naturale, mai artificiosa, anche nell’eccesso la carnalità appare sacra.
La sacralità diviene superstizione, il profano un amore sacro, gli inni sacri si alternano ai cori da stadio del Napoli, il realismo lascia spazio al kitsch; ogni livello linguistico coinvolge in un ossimoro, fino a tradursi in un unico tema centrale: il desiderio di evadere dalla condizione in cui vivono, mentre la prospettiva di una nuova vita sembra più irrealistica di un miracolo. Brunelli parla di precarietà e malattia mentale, lo fa distruggendo il velo di condiscendenza di chi circonda Lino e Annaluce portando in evidenza coloro che, invece, minacciano la loro famiglia. Silvia Brunelli esordisce con un opera coraggiosa, La santa piccola racconta con leggerezza una storia tragica rievocando il binomio greco dell’apollineo e del dionisiaco, ironizzando con leggerezza sulla complessità delle relazioni, della responsabilità, della sessualità, della nudità, del contatto fisico e del credo popolare.