La scuola serale: recensione del film con Kevin Hart
Teddy Walker, a quasi 20 anni dall'abbandono delle scuole superiori, deve tornare a studiare per ottenere finalmente il tanto agognato diploma. Un'impresa per nulla scontata...
Il successo americano di Kevin Hart e Tiffany Haddish rappresenta, per il pubblico italiano ed europeo, un piccolo mistero. Capita spesso, coi comici statunitensi di ultima generazione: fanno (sor)ridere, sono empatici, catturano l’attenzione con la loro abilità oratoria; eppure restano alieni, lontani anni luce dalla totale comprensione perché legati ad un tipo di umorismo che non rispecchia il nostro gusto e che fa riferimento ad episodi o tormentoni sconosciuti alla platea d’oltreoceano. Per comprendere il bacino d’utenza di Hart, nello specifico, basta guardare una qualunque delle sue stand-up comedy (molte delle quali presenti nel catalogo Netflix): le sue gag – spesso improntate alla scatologia e all’ironia sul colore della pelle – mandano in visibilio il pubblico.
Non stupisce dunque che La scuola serale sia stato un discreto campione d’incassi in patria (oltre 90 milioni di dollari, a fronte di un investimento di “soli” 30), mentre da noi sia passato quasi del tutto inosservato, nonostante la distribuzione novembrina e dunque da alta stagione cinematografica. Difficile, per quanto ci riguarda, assegnargli un target: troppo triviale e sboccato per essere adatto agli adolescenti e ai ragazzi, ma al contempo troppo infantile e ridicolo per fare presa sugli adulti, per quanto la trama in qualche modo ricalchi il nostrano Immaturi.
La scuola serale: back to school
Prodotto dalla HartBeat Productions, di proprietà del medesimo Hart, La scuola serale ha una genesi piuttosto curiosa. Come ricorda lo stesso protagonista, “Alla HartBeat ci riuniamo ogni tre mesi per sviluppare idee per il cinema e per la televisione. Quando qualcuno di noi ha qualcosa da dire, suona un campanello per attirare l’attenzione degli altri. Lo stesso campanello ci ha fatto pensare alla scuola. Del resto, come riunire in un unico film tanti personaggi comici per divertire e al tempo stesso raccontare una storia valida se non nell’ambiente scolastico?”.
Si inizia dunque da una piccola/grande verità nascosta per anni: Teddy non ha mai ottenuto il diploma, e a distanza di 18 anni è costretto a ritornare sui banchi di scuola. Il suo castello di carte crolla quando a causa di un tragicomico incidente (da lui causato) perde il lavoro e si ritrova improvvisamente disoccupato. Per essere nuovamente assunto da un’altra azienda occorre un GED, un certificato che confermi un livello di abilità equivalente ad aver completato le superiori. Controvoglia Ted si rimette a studiare, in una classe formata da un manipolo di simpatici disadattati, ognuno dei quali alle prese con la propria personale sfida.
La scuola serale: sulla via del politicamente scorretto
Ad uno spunto sociale così ben definito, tuttavia, non corrisponde un adeguato sviluppo. O, per meglio dire, si preferisce restare sulla superficie delle cose senza mai troppo approfondire la questione. La sceneggiatura – scritta addirittura a 12 mani, con la presenza anche del Nicholas Stoller di Cattivi vicini (2014) e del John Hamburg di Zoolander (2001) – predilige il ritmo da sitcom o da sketch televisivo alla Saturday Night Live, rinunciando quindi apertamente alla coesione fra le parti. Ci si diverte blandamente, ci si dimentica rapidamente dell’accaduto e si passa per accumulo ad un’altra sequenza più o meno simpatica e accattivante.
Lo spazio per il politicamente scorretto viene così disinnescato e immerso prontamente nella retorica dei buoni sentimenti: La scuola serale è una commedia total black (di quelle che fanno un po’ genere a sé soprattutto negli Usa, il cui massimo esponente è stato a cavallo dei 2000 Eddie Murphy con opere quali Il dottor Dolittle e Norbit), e in quanto tale affronta anche la tematica del razzismo, nella figura del preside Stewart che imita goffamente i motti e la gestualità tipici della cultura afroamericana. Ma non c’è vera satira, e tutto si riduce ad una battuta – o ad un urlo di Kevin Hart – che riappacifica subito gli animi.
La scuola serale: sulle seconde opportunità
Il percorso di apprendimento di Teddy non sarà ovviamente solo scolastico, ma anche umano: da scaltro imbroglione (dapprima nel voler convincere la scuola a concedergli il diploma senza studiare, e successivamente nel bislacco tentativo di furto delle risposte del test) il personaggio principale diventerà un adulto consapevole di se stesso e dei propri limiti. Assieme agli altri componenti dello scalcinato gruppo – che rappresenta un po’ la collaudata combriccola di emarginati che salveranno il mondo, uno dei topos più frequentati del cinema americano – scoprirà di aver sempre ignorato i suoi problemi di discalculia e dislessia, vivendo un’esistenza non al massimo delle sue possibilità.
Durante il ballo di fine anno, la classica festa che celebra la conclusione del ciclo di studi, i nodi verranno inesorabilmente al pettine, grazie anche al sostegno della non ortodossa ed energica insegnante Carrie. Tra un brano degli Outkast (molto presenti in colonna sonora), uno di Jason Derulo e uno di T.I. prende forma la morale didattica del film, che ci porta alla consapevolezza e al relativismo: la vita concede seconde, terze, quarte chance, non esistono limiti per la propria evoluzione e per imparare qualcosa dagli errori commessi. Un messaggio sicuramente facile e scontatissimo fin dalle premesse, ma è altresì vero che sarebbe sbagliato pretendere qualcosa di diverso da un prodotto leggero di questo tipo, che fa della evanescenza il suo tratto distintivo.