La seconda vita: recensione del film di Vito Palmieri dal Bif&st 2024
La recensione del film di Vito Palmieri con Marianna Fontana e Giovanni Anzaldo, presentato al 15° Bif&st e nelle sale dal 4 aprile 2024.
Prima di un calendario di proiezioni speciali nelle carceri e l’uscita nelle sale dal 4 aprile 2024 grazie allo sforzo congiunto di Articolture e Lo Scrittoio, La seconda vita ha avuto l’onore e l’onere di aprire il Concorso ItaliaFilmFest/Nuovo cinema italiano del 15° BiF&st – Bari International Film Festival, laddove è stato presentato in anteprima mondiale nella splendida cornice del Teatro Piccinni. Scelta, questa, fatta con il cuore date le origini pugliesi del regista Vito Palmieri, per la precisione di Bitonto, terra dalla quale però ha dovuto allontanarsi per girare questo suo terzo lungometraggio che arriva dopo svariate esperienze sulla breve distanza e nel cinema del reale, nelle quali si è più volte misurato con tematiche sociali dal peso specifico rilevante e di stretta attualità. Ed è proprio in un documentario realizzato nel 2022 dal titolo Riparazioni che aveva avuto modo di affrontare, seguendo altre dinamiche e raccontando una storia realmente accaduta, i delicati temi del reintegro sociale, della giustizia riparativa e del pregiudizio. Tematiche, queste, che recentemente sono state esplorate seguendo altre traiettorie da Jeanne Herry nel suo dramma corale Je verrai toujours vos visages e che adesso sono al centro anche dell’opera di fiction scritta a quattro mani da Palmieri con Michele Santeramo, le cui riprese si sono svolte tra la Toscana e l’Emilia-Romagna: a Bologna, a Rimini e in particolar modo a Peccioli, piccolo comune in provincia di Pisa.
In La seconda vita, Vito Palmieri affronta i delicati temi del reintegro sociale, della giustizia riparativa e del pregiudizio
Qui trova rifugio Anna, giovane donna dal passato oscuro, che decide di trasferirsi in un piccolo comune di provincia. Ed è all’interno di questa piccola comunità che la protagonista riscopre e riassapora la routine del quotidiano: lavora, cammina libera per le strade, conosce persone tra cui Antonio, un uomo dolce e introverso con cui inizia una timida relazione. Ma il passato sembra non lasciarle scampo perché il giudizio degli altri, a differenza delle sentenze e delle condanne, sembra non finire mai. Questo faccia a faccia inesorabile con lo stigma è dunque il cuore pulsante narrativo e drammaturgico su e intorno al quale ruota e si sviluppa il plot e la one-line della protagonista, qui interpretata da un’intensa Marianna Fontana che insieme al compagno di set Giovanni Anzaldo (nei panni di Antonio) alzano la temperatura emotiva ed emozionale delle scene con delle performance davvero toccanti. Nei momenti che li vedono dividere la scena alzano e di tanto l’asticella, creando una bellissima alchimia che commuove e solleva spunti di riflessione.
La seconda vita: Marianna Fontana e Giovanni Anzaldo alzano la temperatura emozionale delle scene con delle performance davvero toccanti
Merito del talento dei due interpreti principali, di come sono stati diretti e anche di una scrittura che ha saputo dosarle alla perfezione salendo e scendendo di forza e intensità, mescolando il dramma sociale e umano con il melò e delle venature mistery che scorrono sotto la superficie del racconto. Quest’ultime avvolgono il film di un velo thriller con e attraverso il quale il regista pugliese nasconde e poi toglie la polvere da sotto al tappeto, riportando gradualmente a galla la tremenda verità sui motivi che hanno portato la protagonista in carcere. Mescolando i registri, i colori e i generi presenti sulla tavolozza a disposizione, lavorando anche su un piano più metaforico e astratto (vedi la riparazione della crepa sulla campana del paese e le gigantesche statue che si stagliano nel paesaggio toscano che dialogano con la storia vissuta dalla protagonista), l’autore ha costruito una storia nella storia che chiama in causa dinamiche familiari e private incastonate all’interno di un dramma collettivo, toccando tutta una serie di tematiche dal peso specifico rilevante che stratificano e impreziosiscono tanto la narrazione quanto la drammaturgia. Così facendo si è venuto a creare un giusto equilibrio tra il dramma collettivo e quello individuale, senza che l’uno fagociti mai l’altro. Il tutto incorniciato da inquadrature cariche e portatrici sane di messaggi ed emozioni cangianti, accompagnate da una punteggiatura musicale che riempie i silenzi.
La seconda vita: valutazione e conclusione
Nel suo nuovo lungometraggio di fiction, Vito Palmieri affronta le tematiche del reintegro sociale, della giustizia riparativa e del pregiudizio. Tematiche, queste, molto complesse e delicate, ma che il regista pugliese riesce a trattare e restituire con estrema chiarezza. Lo fa mescolando colori e registri, intrecciando il dramma popolare con quello individuale attraverso dinamiche sociali, sentimentali e anche di genere, nello specifico quelle mistery legate al passato oscuro della protagonista. Quest’ultima è interpretata da un’intensa Marianna Fontana che con il compagno di set Giovanni Anzaldo crea un’alchimia che regola il sali e scendi di temperatura emotiva. Merito che andrebbe condiviso con una scrittura che dosa ed equilibra le componenti a sua disposizione e di una messa in quadro essenziale, funzionale e al servizio di una storia che lavora, oltre che sul piano realistico, anche su quello metaforico.