La settima musa: recensione del film horror di Jaume Balaguerò
In sala dal 22 agosto, La settima musa è l'ultima fatica del creatore di REC Jaume Balaguerò. Basato sul romanzo La dama numero tredici di José Carlos, il film unisce elementi mitologici a un thriller moderno.
In piena estate, sotto il caldo sole di agosto, Adler Entertainment propone un titolo da brivido, La settima musa. Si tratta di un horror tutto europeo, la cui trama affonda le radici nel mito e si sviluppa attorno al campus di Cork, in Irlanda. A dirigere la storia tratta dal romanzo La dama numero tredici – best seller fantasy di José Carlo Somoza – è Jaume Balaguerò, protagonista assoluto dell’horror psicologico spagnolo, con all’attivo successi come REC e Darkness con Anna Paquin. Qui Balaguerò si destreggia con elementi tratti dalla mitologia, che si inseriscono in maniera decisiva in un thriller contemporaneo, mostrando i tragici effetti dell’interazione tra umano e soprannaturale.
Nonostante lo spunto sia consolidato e sempre interessante, il risultato ne La settima musa è piuttosto caotico e soffre parecchio del passaggio dal media letterario a quello cinematografico. Con una struttura narrativa discontinua, risulta difficile per lo spettatore sentire davvero la tensione del racconto che sarebbe ulteriormente penalizzata se non fosse per le scene di violenza spinta che di tanto in tanto provvedono a vivacizzare il tutto. Purtroppo, però, se parliamo di horror psicologici, il sangue e le torture non sono sufficienti a portare il prodotto al di sopra della sufficienza.
La settima musa: la trama del film di Jaume Balaguerò
Il professor Samuel Solomon (Elliot Cowan) è segnato indelebilmente dal lutto, dopo la morte improvvisa della sua compagna. La giovane spogliarellista Rachel (Ana Ularu) porta avanti con fatica una vita di sofferenza, tra l’amore assoluto per il figlio Nito e l’odio per il suo aguzzino che la costringe – notte dopo notte – a prostituirsi. Appartenenti a mondi quanto mai lontani, i due sono legati da una serie di incubi, che finiranno per portarli sul luogo dell’omicidio di una donna misteriosa. Qui troveranno un oggetto dalla forma e dalla funzione altrettanto sconosciuti: quell’Imago sarà la chiave di volta per una discesa inesorabile nell’orrore.
Aiutato dalla collega Susan Gillard (l’attrice-simbolo della cinematografia tedesca contemporanea Franka Potente), Solomon risalirà al segreto dell’Imago e all’identità di Rachel. Tra i personaggi-chiave di questa rischiosa ricerca, il professor Herbert Reuschen (un Christopher Lloyd ormai anziano), ultimo sopravvissuto di un gruppo di intellettuali occidentali chiamato White Ring, i cui membri sono stati decimati negli anni nelle maniere più varie e orrende.
Orrore e mitologia ne La settima musa
Come annunciato nel titolo, l’elemento soprannaturale che getta scompiglio nelle vite dei protagonisti è la presenza delle Muse. Queste figure mitologiche sono da sempre associate alle arti e alla protezione e ispirazione di poeti e scrittori: che succede, allora, se si scopre che le Muse sono portatrici di morte e dolore e che il prezzo della creazione artistica è molto più alto di quanto ci hanno sempre raccontato? Le sei donne descritte da Balaguerò sono – infatti – delle carnefici astute e spietate, che provano piacere nel punire nei modi più atroci gli esseri umani che si legano a loro.
Nel film La settima musa il regista decide di ribaltare l’idea tradizionale, edulcorata e rassicurante, del rapporto tra uomo e divinità, cancellando ogni residuo di positività e mostrando questo legame come una vera e propria maledizione. Allo stesso tempo, nel corso del film, vedremo come quello che sembrerebbe essere un conflitto tra umano e oltre-umano diventi in realtà una lotta tra sorelle, in cui gli uomini sono solo sacrificabile carne da macello.
Lo spunto mitologico/soprannaturale alla base della storia si presta ad alcuni dettagli che sarebbero potuti essere interessanti, ma che si perdono nell’arco di una narrazione confusa e verbosa. Tra questi dettagli, il modo in cui le Muse agiscono contro gli esseri umani e il legame simbolico tra poesia e sofferenza del corpo. Come vediamo in più di un’occasione, infatti, per punire gli uomini e le donne che interferiscono con i loro piani, le terribili sorelle incidono nella pelle dei malcapitati dei versi, il cui contenuto si manifesta in torture che conducono la vittima alla morte. Qui si gioca la componente orrorifica della pellicola che regala alcune scene di profondo strazio fisico e dal notevole impatto visivo, in grado di scuotere l’attenzione dello spettatore altrimenti concentrato sulle continue rivelazioni sciorinate dalla trama.
La settima musa: la maledizione delle Muse
Le dinamiche alla base del racconto messo in scena da Balaguerò si rifanno a meccanismi ben noti allo spettatore di horror (e non solo). Il lutto del protagonista, il dottor Solomon, che lo definisce come uomo sofferente e impenetrabile, fa il paio con la condizione di vittima sessualmente procace del personaggio femminile principale, quello di Rachel. La natura ultraterrena della ragazza, oltretutto, è raccontata in modo improvviso e narrativamente davvero poco soddisfacente, sbrigativo, come se bastassero pochi istanti di concentrazione per riesumare una memoria sepolta da anni. Certo, queste inesattezze trovano una spiegazione (altrettanto frettolosa) nei dialoghi tra i personaggi che si preoccupano (anche troppo) di commentare e prevenire ogni possibile perplessità del pubblico. Il pericolo dello spiegone, insomma, incombe sui destini dei protagonisti e ha effetti ancora più devastanti di tutte le Muse messe insieme.
Da un flm che basa il suo principale punto di interesse sulla ri-lettura in chiave horror delle protrettrici delle arti e degli studi, ci si aspetterebbe una caratterizzazione ben curata di questi personaggi, ma il tentativo di umanizzare le Muse rischia di banalizzare anche questo aspetto e di mettere in scena un teatro poco credibile. Il contrasto tra Muse buone e Muse cattive è poco indagato, così come la storia di queste donne e i motivi alla base delle loro azioni. Per quanto la storia in sé non sia particolarmente complessa, Balaguerò riesce a confonderla e a disseminare la trama di alcuni buchi che – anche se non particolarmente importanti – finiscono per diventare piuttosto fastidiosi.
Insomma, La settima musa non è quella che potremmo definire una sfida vinta. Trattasi, anzi, di un inciampo di un autore ambizioso, che ha voluto addentrarsi in un tema importante e potenzialmente molto accattivante senza restituire la profondità che il pubblico meriterebbe. La regia e il montaggio, infine, si soffermano sui cliché tipici del genere horror, ben supportati da una fotografia dark scolastica ma efficace, che costituisce uno dei punti positivi dell’intera operazione.