La sirenetta (2018): recensione del film di Blake Harris
Il remake live-action della fabia di Hans Christian Andersen, La sirenetta, è un esperimento fallito che insiste su una confezione patinata, senza contenuto
La sirenetta, film live-action del 2018, è una rivisitazione molto libera della nota fiaba di Hans Christian Andersen pubblicata per la prima volta nel 1837. In questo moderno tentativo di rilettura di una storia classica, il regista Blake Harris punta tutto su un giovane cast di divi, a partire da William Moseley e Poppy Drayton.
Un giovane scrittore (Cam Harrison interpretato da William Moseley) è un reporter senza troppi soldi e in cerca di un rimedio per la misteriosa e apparentemente incurabile malattia che da sempre affligge l’angelica sorellina più piccola, Elle. Spinto dal suo editore a fare ricerche per un articolo sul potere taumaturgico di un’acqua miracolosa, Cam si metterà sulle tracce di un tale Dr. Locke e finirà per imbattersi poi in una congrega circense di cui fa parte anche la bellissima Elizabeth (Poppy Drayton), magica creatura acquatica che nasconde ben più di un segreto. Ma le grinfie del cattivo di turno (Locke, interpretato da Armando Gutierrez) sono dietro l’angolo, e il nuovo manipolo di giovani eroi dovrà infine provare a sconfiggere il malvagio, colui che ruba sogni e anime in virtù del proprio personale tornaconto.
La sirenetta: rifacimento live-action tra reale e fantastico
Rifacimento live-action della celebre e amata fiaba de La Sirenetta (portata alla ribalta dalla rossa e ipnotica creatura partorita dalle menti Disney nel 1989, con un film dal successo globale e che portò a casa ben due premi Oscar – miglior canzone e miglior colonna sonora) La sirenetta ricostruisce le fila di una storia a metà tra reale e fantastico, dolore e gioia, costrizione della malattia e libertà del sogno. Nella natura dolorosa e controversa di un amore nato tra esseri di mondi diversi, la fiaba della creatura metà pesce e metà donna nutre infatti da sempre quell’immaginario consolante di normalizzazione delle diversità, della panacea amorosa di un sentimento capace di andare oltre le differenze pratiche, e addirittura corporee della vita.
Ma nel tentativo di ammodernamento della fiaba, inserita all’interno di una cornice narrativa in cui la storia stessa è rievocata dalle parole di una nonna (Shirley MacLaine) che racconta vicende del passato che fu alle sue nipotine, La sirenetta manca però nel cercare e trovare quella chiave di originalità e coerenza che avrebbero potuto fare la differenza in un ri-adattamento di questo tipo. Poggiata su un cast di giovani e belli, ma smarrita tra le fila di un didascalismo e calligrafismo spesso e volentieri invadenti, questa rivisitazione della storia dai toni originariamente dark ideata da Hans Christian Andersen qui diretta e scritta da Blake Harris (co-diretta da Chris Bouchard, e prodotta da Armando Gutierrez e Robert Molloy) insiste infatti tutta sulla confezione patinata e l’atmosfera barocca di un’apparenza luminosa e ordinata dove a farla da padroni sono tutti gli elementi del bello e senza sfumature di sorta.
E dunque, l’eccesso di compostezza e armonia della messa in scena associati a una sensibile mancanza strutturale mutano in breve tempo l’originale opera fantasy in una composizione melensa e troppo poco composita, incapace – di base – di essere appetibile perfino a un pubblico più giovane. Si perde, inoltre, tra le fila di sovrapposizioni, innovazioni circensi e rimandi incrociati, quasi tutto il valore simbolico della fiaba originale, venendo meno infine anche la capacità dell’opera di veicolare un’emozione sincera in riferimento tanto allo stato di malattia quanto allo stato amoroso affrontati dalla storia. Un’operazione nel complesso confusionaria che, di fondo, non agevola nemmeno la lettura di un messaggio che in origine aveva la calligrafia chiara di un saper andare oltre le diversità per far incontrare a metà strada le cose della terra con le magie “in fondo al mar”, e di barattare all’occorrenza e in extremis la propria anima per il sogno di felicità. Infine, esperimento produttivo davvero troppo labile dove il doppiaggio italiano non aiuta senz’altro la causa della fruibilità.