La Sirenetta (2023): recensione del film di Rob Marshall
La Sirenetta, per la regia di Rob Marshall e con protagonisti Halle Bailey, Javier Bardem e Melissa McCarthy, è il remake dell'omonimo classico d'animazione Disney ispirato alla fiaba di Hans Christian Andersen. Nelle sale italiane il 24 maggio 2023.
Remake live action dell’omonimo film del 1989 ispirato alla popolarissima fiaba di Hans Christian Andersen, La Sirenetta sbarca (!) nelle sale italiane il 24 maggio 2023, distribuito da The Walt Disney Company Italia, con il suo carico di promesse d’amore, avventure oceaniche e ritmi accattivanti. Dirige Rob Marshall su sceneggiatura di David Magee, le musiche originali portano la firma di Alan Menken mentre i testi sono di Howard Ashman con l’inedito contributo di Lin-Manuel Miranda. Una new entry di pregio, a confermare le intenzioni della Disney circa questo remake-riaggiustamento di una storia conosciuta da tutti. Forse, chissà, di una rinfrescatina aveva davvero bisogno.
Ufficialmente, si tratta di avvicinare film e personaggi a una nuova generazione di spettatori che non erano verosimilmente nati all’epoca del primo, contemporaneamente modernizzando, svecchiando e attualizzando tutto ciò che è possibile modernizzare, svecchiare e attualizzare. La magia senza tempo dell’originale fiabesco di Andersen, per la verità, con il suo tenero e malinconico duetto d’amore tra mondi destinati a non incontrarsi mai, è perfettamente in grado di parlare allo spirito del nostro tempo. Senza ritocchini.
Dal canto suo la protagonista Halle Bailey, accolta all’inizio dagli osceni e grotteschi rimproveri dei troll razzisti che poco gradivano l’idea di una sirenetta afroamericana, esce dal film girando il coltello nella piaga (degli imbecilli). Dovranno farsene una ragione, ancora una volta, perché la molto brava protagonista si prende il ruolo e non lo lascia andare; le buone carriere si costruiscono anche così, una parte ingombrante, la paura di rimanere imprigionati, provarci lo stesso con dedizione e concentrazione assoluta. Completano il cast Melissa McCarthy, Javier Bardem, John Hauer-King e Noma Dumezweni. Doppiaggio originale per Daveed Diggs, Jacob Tremblay e Awkwafina.
La Sirenetta: Ariel sospesa tra la profondità del mare e la terraferma
In fondo al mare, un’adolescente resta sempre un’adolescente. Ariel (Halle Bailey) è la figlia più giovane e ribelle del Re Tritone (Javier Bardem); ha il mare a sua disposizione, ma curiosamente non le basta. Perlustra i fondali dell’oceano alla ricerca anche del più insignificante artefatto del mondo di sopra. Qualunque cosa, letteralmente, le parli degli uomini, per lei è sufficiente. Di solito Ariel si fa accompagnare, nelle sue escursioni, dal pesce tropicale Flounder (Jacob Tremblay) e di quando in quando anche da Scuttle (Awkwafina), una sula bassana. Negli ultimi tempi si aggrega anche lo stressatissimo granchio Sebastian (Daveed Diggs, in italiano Mahmood), il maggiordomo personale di Tritone, un curriculum che gli permetterebbe di ambire a ben altro e invece si ritrova a fare il guardiano e il baby sitter della principessa più impaziente dei sette mari. Ma, ci ricorda La Sirenetta, non c’è modo di spegnere il desiderio di un cuore giovane, se non saziandolo. Non si ferma il mare con le mani.
Lo struggimento di Ariel ha un nome e un volto, entrambi riconducibili al principe Eric (John Hauer-King). Rampollo di un non meglio specificato regno caraibico, in attesa di raggiungere la maggiore età e di dedicarsi ad altre e ben più complesse faccende ha deciso, nonostante la perplessità della madre, la Regina Selina (Noma Dumezweni), di improvvisarsi marinaio. Ariel spia Eric che fa baldoria con i compagni sulla sua nave proprio un attimo prima che scoppi una terribile tempesta. Eric si salva per il rotto della cuffia e il merito è tutto della sirena; addirittura Ariel fa al giovane il regalo più prezioso che una principessa sottomarina possa fare a un giovane uomo, gli fa ascoltare la sua voce. Eric torna in sé che la ragazza è sparita ma sa di doverle la vita, per questo si mette a cercarla. Ma è difficile, molto, trovarsi, quando tu sei un uomo e lei una sirena, due mondi che non si capiscono e non si amano. Selina e Tritone ammoniscono i rispettivi figli di non cercare, in nessun modo, di fraternizzare con il nemico. Ariel è talmente disperata che si risolve ad accettare l’aiuto di Ursula.
Ursula (Melissa McCarthy) è la sorella respinta di Tritone, esiliata negli anfratti più inospitali dell’oceano per punizione delle sue crudeli macchinazioni. La Strega del mare porta rancore e nulla dimentica, degli affronti subiti; nel dolore della giovane principessa intravede la possibilità della vendetta. Se Ariel fosse umana forse sognerebbe le pinne, ma è una sirena e il suo cuore batte per un uomo. Per questo Ursula le offre un patto curioso: un bel paio di gambe, un biglietto di sola andata per la terraferma, in cambio della sua voce. Ariel accetta, raggiunge muta (e umana) la corte di Eric, che però la guarda senza riconoscerla. Ha solo tre giorni di tempo per baciare il suo principe e stabilizzare l’incantesimo, se no tornerà sirena e il suo sogno d’amore sfumerà. La situazione è disperata. Tritone impazzisce di dolore lontano dalla figlia, Ariel non ha voce, Eric è timido e non si decide, Ursula è lì lì per dare seguito ai suoi malvagi propositi. Flounder, Scuttle e il povero indaffaratissimo Sebastian le tentano tutte, sembra proprio non ci sia nulla da fare. A meno che questo non sia un film della Disney, è chiaro.
Come modernizzare una storia già molto attuale
Per un film che ha tanto a cuore la necessità di un equilibrio – tra mondi diversi, tra diverse filosofie di vita, tra il vecchio e il nuovo – La Sirenetta soffre un curioso sbilanciamento. Impiega troppo tempo a carburare, si imprigrisce sul racconto della vita oceanica di Ariel al punto che, quando arriva il momento di premere sull’acceleratore, ecco che le cose accadono ma in fretta, molto in fretta, forse troppo. La risoluzione è affidata ai fuochi d’artificio di un finale spettacolare che ha tutto quello che serve per consolare lo spettatore di un’attesa eccessiva: rumore, furia e sentimento. Ci si arriva però in maniera disomogenea e l’impressione è di una storia più lunga del necessario. Gran parte del film è il racconto dell’oceano e dei suoi misteri; parlando di mondi cinematografici e miracoli digitali, c’è un prima e un dopo Avatar. Rob Marshall non ha i soldi, il temperamento e l’inclinazione al gigantismo di James Cameron. Il suo oceano ha lo stesso un respiro epico soddisfacente.
Convincente è Halle Bailey, impulsiva, testarda e con il giusto carisma; lei che oltre ad essere attrice è anche cantante, serve bene i due versanti della storia, fantasia sentimentale in musica che incoraggia i figli ad amarsi nonostante tutto e ammonisce i genitori ad accettare l’idea che amare sia anche sacrificarsi un po’: lasciare che ognuno segua la sua strada. La Sirenetta è il remake di un film d’animazione del 1989 che faceva della leggendaria colonna sonora di Alan Menken il suo punto di forza ed è proprio nel lavoro di aggiustamento delle sonorità dell’originale (i pezzi storici ritornano) ai gusti contemporanei (qui anche svolazzi e suggestioni hip hop cortesia della rapper Awkawfina) che emerge il senso dell’operazione. La sinergia tra Menken e Lin-Manuel Miranda è un manifesto eloquente dello stato dell’arte dalle parti della Disney: senza avere le idee chiare su quello che riserva il futuro, si prende il passato e lo si veste da presente. Restare indifferenti è comunque impossibile.
L’idea è di attualizzare una storia controcorrente già dalla nascita. Al cuore della fiaba di Andersen, nell’armonia impossibile tra mondi estranei, era racchiuso un respiro profondo e uno spessore inedito. Proseguire su questa china, il confronto tra l’originale e le trasposizioni cinematografiche, sembrerebbe irrispettoso e filologicamente ridicolo, ma è vero che cucire un abito su misura del nostro presente è più facile con un film come La Sirenetta. La modernità, qui, non è imposta a forza dalla regia ben intenzionata di Rob Marshall, ma adattata con sobrietà e in modo abbastanza sincero. Certo, ci sono anche gli inciampi, si crede poco alla coscienza ecologista delle sirene che lamentano i danni provocati dal naufragio alla purezza della barriera corallina (hanno ragione, ma c’è modo e modo di presentare l’inevitabile pistolotto ambientalista). I cartoni animati, d’altronde, hanno un’agilità nel solcare il fondo del mare che manca alla controparte umana, ma questo si sapeva già. Se l’obiettivo è coniugare sentimento e azione, messaggio inclusivo e rappresentazione della diversità, musica e divertimento, il film tiene.
La Sirenetta: conclusione e valutazione
Il film tiene, ma si posiziona leggermente al di sotto del predecessore. La Sirenetta è una fotografia abbastanza accurata dello standard Disney: intrattenimento di qualità, tecnicamente pregevole ed emotivamente soddisfacente, senza mai uscire dai binari di una confezione costruita per non prendere alla sprovvista i gusti del pubblico. Un bel mix, quello tra i vecchi suoni e i nuovi suoni, i vecchi e i nuovi temi, considerando il senso dell’operazione: una replica senza colpi di scena di un originale di successo.