La solitudine dei non amati: recensione del film di Lilja Ingolfsdottir

Sul tempo dell’ascolto, del dialogo e della comprensione tra individui. Quello reale e talvolta scomodo. Sia che si parli d’amore agli inizi, sia che si parli d’amore ormai giunto a conclusione. Ingolfsdottir sulla via de La persona peggiore del mondo. In sala dal 30 aprile

C’è un tempo appartenente a qualsiasi forma di relazione, nessuna esclusa, all’interno del quale le colpe vengono distribuite e per la primissima volta discusse realmente proprio per ciò che sono. Colpe, talvolta traumi e in definitiva ragioni per le quali nulla potrà proseguire, concludendosi lì, senza più estendersi ad altri momenti o conversazioni. Né tantomeno attese. Dall’inavvertito e doveroso successo commerciale e poi di critica de La persona peggiore del mondo di Joachim Trier, sembra essersi aperto un enorme varco all’interno della cinematografia norvegese, dedicato proprio all’esplorazione di quel tempo della relazione. Qui proseguito con La solitudine dei non amati (Loveable) di Lilja Ingolfsdottir, al cinema dal 30 aprile 2025, distribuito da Wanted Cinema.

La favola dell’amore e il reale. Sull’ascolto e la comprensione

La solitudine dei non amati: recensione del film di Lilja Ingolfsdottir

Sulla colpa dunque e la conversazione conclusiva circa le verità scomode e le effettive ragioni della fine di una relazione. A distanza di quattro anni da quel malinconico e folgorante lungometraggio di Trier, si inserisce nel solco La solitudine dei non amati, l’esordio alla regia di Lilja Ingolfsdottir. Ancora una volta centrato su di una figura femminile nient’affatto convenzionale e alle prese con le dinamiche d’amore iper realistiche della vita, dunque mai favolistico, il film di Ingolfsdottir, al contrario di Trier non persegue l’estetismo, né tantomeno la questione dell’empatia, scegliendo la via ben più complessa del respingente e dell’algido. Laddove tutto può concludersi ancor prima di cominciare, eppure la vita ci dimostra il contrario, proprio come La solitudine dei non amati di Lilja Ingolfsdottir.

Maria (Helga Guren) è una donna di mezza età ormai divorziata. Un paio di figlioletti al seguito e una storia d’amore apparentemente perfetta, capace addirittura di ricondurla alla vita e alla serenità. Con Sigmund (Oddgeir Thune) infatti tutto sembra andare per il meglio, almeno finché la scintilla continua a brillare, mantenendosi viva, nonostante le fragilità reciproche e i colpi accusati dall’abbandono del passato. Prevedibilmente il plot narrativo de La solitudine dei non amati non è affatto quello di qualsiasi altra rom-com esistente, tanto nel cinema norvegese, quanto in quello europeo o statunitense. Poiché è esclusivamente il reale ad attirare lo sguardo e la penna dell’esordiente Lilja Ingolfsdottir. A Maria infatti non è concesso che un tempo estremamente breve affinché possa amare senza riserve, divertendosi addirittura, ignorando sé stessa e i rischi di una relazione potenzialmente dannosa.
Quando la favola finisce, il reale irrompe e la crepa da riparare lo sappiamo bene è profonda e complessa, ogni giorno di più, ulteriormente minata da un’assenza totale di dialogo e comprensione reciproca tra le parti coinvolte. Non è detto infatti che l’amore abbia raggiunto il capolinea. È scontato invece che lo abbia raggiunto l’elemento imprescindibile dell’ascolto. Per questo, le domande che Ingolfsdottir pone a ciascuno di noi non possono che essere le seguenti: Maria e Sigmund si sono ascoltati per tutto il tempo, oppure non lo hanno fatto mai? E voi? Quanti ancora restano, pur non rintracciando da tempo, il momento dell’ascolto?

La solitudine dei non amati: valutazione e conclusione

Tra i due seguirà il percorso della terapia e così l’inevitabile resa dei conti, seguita dalla consapevolezza, a questo punto sì immediata, che gli individui non sono perfetti e vanno ascoltati e conosciuti esattamente per ciò che sono, non per ciò che noi vorremmo che fossero. Lo apprenderà Maria tra le lacrime, farà lo stesso Sigmund. Eppure Ingolfsdottir non intende affatto perseguire il convenzionale, soffermandosi dapprima sullo sguardo – la macchina da presa indaga morbosamente tanto i volti e i corpi degli interpreti, quanto i vuoti e le assenze delle emozioni e così delle abitazioni – e poi sulle parole di un cinema curiosamente in bilico tra finzione e documentaristico.

Un film di chiaroscuri, di protagonisti respingenti e quasi mai affabili, né tantomeno empatici – se non al momento dell’attesa conclusione – e di esplorazioni profonde, puramente legate alle zone buie dell’abbandono e dei traumi del tempo. Quelli mai discussi, né tantomeno elaborati. Maria per questo è incapace di accettare l’amore, trovandosi complessa a tal punto da non sopportarsi più, detestando dunque qualsiasi forma d’amore. Seguirà infatti l’odio, dapprima per sé stessa e poi per gli altri. Sigmund osserverà invece le conseguenze di un’evidente immaturità emotiva, alle prese con una matassa da sbrogliare ancor più grande di lui e dell’amore che aveva fin da subito immaginato di riuscire a dare, ottenendo poco, se non addirittura niente in cambio.

Raramente abbiamo rintracciato nella cinematografia recente un lungometraggio capace di fotografare con tale maturità, distacco e dolore, tanto gli angoli luminosi ed empatici degli individui e della dinamica amorosa, quanto quelli respingenti, cupi e insopportabilmente algidi della stessa. La solitudine dei non amati ci racconta proprio questo. C’è un club al quale forse anche noi – tu, voi in lettura – apparteniamo pur inconsapevolmente. Un club di individui capaci di ricevere amore, ma non in grado di restituirne altrettanto. Vuoi per precedenti abbandoni, oppure per questioni di fiducia tradita.

L’ascolto però, come detto da Lilja Ingolfsdottir, salva la vita e così gli individui e le loro relazioni. Ascoltatevi e forse vi amerete, restate sordi e muti e l’amore vi troverà insopportabilmente distanti, tanto da considerarvi estranei, abbandonandovi una volta per tutte. Sarà la fine, sarà il tempo della distribuzione delle colpe. Ancora gli inizi, eppure come detto, è la conclusione. Ingolfsdottir sospende il giudizio e lo sguardo. Siamo noi a scegliere. Qual è la nostra verità?

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5