La Stagione della Caccia: recensione del film in onda su Rai 1
In onda su Rai 1 il 25 febbraio 2019, La Stagione della Caccia è un film mai banale o prevedibile che racconta bellezza e crudeltà della Sicilia servendosi di un cast artistico e tecnico incredibile.
Torna Andrea Camilleri e la sua inesauribile vena creativa sui nostri schermi, torna un suo romanzo storico riadattato dalla Rai per la prima serata, quella del 25 febbraio 2019 per esser più precisi. Torna la Sicilia di fine ‘800, misteriosa, bellissima, mortale e animata da ironia, drammi, misteri e vendette.
Dopo il grande successo de La Mossa del Cavallo, un altro racconto ambientato nella Vigata descritta con maestria del 93enne scrittore, drammaturgo e regista di Porto Empedocle. La Stagione della Caccia vede alla regia Roan Johnson, quello di Fin Qui Tutto Bene e Piuma. Film fiume sceneggiato oltre che da Camilleri, anche da Francesco Bruni e Leonardo Marini, con un cast di primissimo ordine che annovera Francesco Scianna, Miriam Dalmazio, Tommaso Ragno, Ninni Bruschetta, Giorgio Marchesi, Alessio Vassallo, Alice Canzonieri, Orio Scaduto, Gioia Spazani, Bruno Torrisi, Michele Ragno, Lollo Franco, Alessandro Schiavo, Roland Litrico e Donatella Finocchiaro.
La Stagione della Caccia: un viaggio nella Sicilia di fine ‘800 grazie a impeccabili costumi, scenografie e trucco
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Il film di Johnson ci guida nella Vigata di fine ‘800, perfettamente ricreata grazie alla scenografia di Mauro Vanzati, ai bellissimi costumi di Chiara Ferrantini e al trucco di Diego Prestopino.
Protagonista è il giovane farmacista Fofò La Matina (Scianna) che torna nella natia Vigata per portare avanti la sua professione, attirando subito su di sé le attenzioni di tutti gli abitanti di quel piccolo universo dove segreti e intimità sono un miraggio.
Farà la conoscenza del vizioso e insaziabile Marchese Filippo Peluso (Tommaso Ragno), sorta di Re senza corona sposato alla triste e infelice Donna Matilde (Finocchiaro), padre della bella e timida ‘Ntontò (Dalmazio) e del debole Rico (Michele Ragno).
In breve tempo però, una serie di misteriosi delitti scuoterà la piccola comunità ferma nel tempo, creando un vortice di eventi tale da rivoluzionare le vite del Marchese, della sua famiglia e di chi gli sta attorno. Ma chi si nasconde dietro? Qual è il suo movente? E a cosa mira? A questa e molte altre domande non vi è risposta se non nel finale de La Stagione della Caccia, sicuramente uno dei migliori prodotti fatti ultimamente dalla RAI.
La Stagione della Caccia: mille anime e nessuna verità
Ottimo in ogni singola maestranza, girato con ottimo mestiere da un Johnson che cattura in ogni momento l’attenzione dello spettatore e con un montaggio di Paolo Landolfi che valorizza al massimo la bella fotografia di Claudio Cofrancesco, La Stagione della Caccia si rivela un film dalle mille facce, mille anime, in cui la verità unica e universale sembra sempre sfuggire dalle dita.
Ma questo è da sempre un pilastro della narrativa di Camilleri, uno di quelle penne che sa sempre quando guidare e quando far perdere il lettore.
E la stessa cosa avviene in questo meraviglioso labirinto pieno di flashback, deviazioni, misteri, di eventi apparentemente senza significato o legame che invece alla fine, nella grande tradizione dei gialli in terra di Sicilia, trovano la spiegazione, la soluzione, il centro del caleidoscopico moto narrativo.
Attraversato da personaggi in eterno divenire eppure sempre uguali a sé stessi, il film di Johnson è una tenebrosa, ilare e amara favola piena di un eros nel quale risuonano gli echi della visione peccaminosa, oscura e viscerale legata ad una cristianità punitiva e severa, il tutto accompagnato dalle belle musiche di Ralf Hildenbeutel.
Si può ridere di tutto e tutti nella Vigata di Camilleri, ma sono risate che coprono la paura di un fato mortale, inesorabile, guidato da una volontà ed una mano invisibili e per questo ancora più inquietanti.
In mezzo, l’accorata opera di condanna della società maschilista, classista e ottusa di una Sicilia (che non è poi così dissimile a ben pensarci dall’Italia odierna) che ha la donna come oggetto di carne e piacere, soggiogata al voler di questo o quell’uomo, privata del diritto ad una felicità propria.
Lo strepitoso cast de La Stagione della Caccia, con un Tommaso Ragno in stato di grazia
Volutamente irregolare nel ritmo e nell’atmosfera, La Stagione della Caccia vive soprattutto della straordinaria interpretazione di un Tommaso Ragno in stato di grazia, capace di portare sullo schermo il ritratto di una canaglia come se ne son viste poche sui nostri schermi.
Odioso, lussurioso, avido, volgare, egoista e permaloso, il suo Filippo Peluso è però anche il miglior ritratto del vitellone italiano che ancora oggi ammorba la nostra società, dell’uomo possessivo, immaturo, eterno Peter Pan in volo verso il suo ego.
A fargli da contraltare le donne, la trinità della moglie mal sopportata, dell’amante e della figlia, tre facce di una femminilità complessa, articolata, sovente sfuggente ma mai banale grazie alla bravura della Dalmazio, Canzonieri e Finocchiaro.
Forse un film anti-siciliano? Si certo. Lo è quando ne sottolinea l’eterno schiavismo delle apparenze, del bigottismo, del “voce di popolo, voce di Dio”, delle tradizioni feudali che uccidono la vita e la libertà. Ma non lo è quando ne mostra la bellezza della natura e dei suoi frutti, l’energia delle sue donne, il perdurare del valore delle azioni dell’uomo e delle sue conseguenze.
Unico difetto, forse, il mettere il Fofò di Scianna quasi in disparte, caratterizzarlo poco, come quasi tutti gli uomini di questo racconto, o forse il renderli quasi tutti uguali, pronti allo sdegno come al ghigno, all’umiliazione come all’arroganza.
La Stagione della Caccia forse non è al livello de La Mossa del Cavallo, non ne ha l’intensità e la galoppante energia, ma rimane un racconto affascinante e pure molto inquietante sul rapporto tra menzogna e realtà, società ed individuo, sogni e il prezzo che siamo disposti a pagare per realizzarli.
Un’opera mai banale, commerciale o prevedibile. Lunga vita a Camilleri.