La stanza accanto: recensione del Leone d’Oro di Venezia 81

Pedro Almodóvar conquista il premio più importante della Mostra del Cinema di Venezia con un film straziante ma non melodrammatico.

Dopo tante porte sbattute in faccia e premi non assegnati nonostante l’evidente merito, Pedro Almodóvar riceve finalmente un riconoscimento di massimo valore per il suo cinema con La stanza accanto. Alcuni sostengono che sia arrivato proprio per uno dei suoi film peggiori, altri sono rimasti estasiati da questa parabola drammatica sull’eutanasia; certo è che, in un’edizione affatto brillante nella sezione del Concorso, il Leone d’oro assegnato al film non risulta una scelta incomprensibile.

La stanza accanto: un (non melò) dramma dall’ironia semi alleniana

La stanza accanto non è un film pesante o eccessivamente drammatico, Almodóvar sceglie di essere asciutto, essenziale, nella regia e nella scrittura, nelle ambientazioni e nello svolgimento. Il ritmo è spedito e puntellato da un’ironia sottile, leggera ma ansiogena, nevrotica, quasi alleniana. Alcuni passaggi sono in questo senso ispiratissimi, come la sequenza in palestra che si fa metafora di un periodo – post pandemico e buonista – dove toccare e toccarsi è diventato addirittura pericoloso, nel mondo del cinema e più in generale nel quotidiano.

Il legame del microscopico con il sociale non si ferma a questa suggestione, ma trova una continuità nel richiamo alle guerre e nella negatività del personaggio di John Torturro, che paradossalmente rischia di essere il più cupo, angoscioso e angosciato di tutti. La sospensione spazio temporale generata dall’isolamento delle due amiche rimanda di contrasto alla dimensione esterna di un’umanità ormai spenta, malata, agonizzante, in attesa che qualcuno o qualcosa stacchi definitivamente la spina, o che – come accade alla protagonista – una pioggia di neve improvvisa regali ancora un istante di bellezza.

La stanza accanto recensione Cinematographe.it

La placidità della messa in scena viene destabilizzata solo nella sequenza dell’interrogatorio in commissariato, una parentesi feroce nella quale è condensato tutto il senso e il dilemma centrale del film, che invece rimane – e poi torna – in uno spazio più intimo e confortevole. Questo è forse il punto debole del nuovo lavoro di Almodóvar, il motivo per cui non riesce mai completamente a decollare, bloccato – volutamente, certo – in una condizione di immobilità e per certi versi sovraccaricato da sporadici flashback che aggiungono poco al racconto ed anzi lo spingono in una dimensione amorfa.

È però altrettanto vero che questa posata gentilezza della regia funziona nel creare un’atmosfera sospesa e comatosa, teatrale e stupefatta, con l’apporto decisivo delle attrici protagoniste che reggono la tensione e l’attesa e giganteggiano senza strafare. Ad amplificare l’emozione e la sensazione di spaesamento troviamo poi Tilda Swinton in un doppio ruolo che Almodóvar, da noi sollecitato in conferenza stampa, ha spiegato come una specie di reincarnazione. Chissà, magari è la stessa magia che ha fatto incarnare la verve nevrotica di Woody Allen nell’Ingrid di Julianne Moore.

La stanza accanto: valutazione e conclusione

La stanza accanto non tra i migliori film di Pedro Almodóvar, né tra quelli più coraggiosi, ma è una prova asciutta di semplicità e umorismo che gli regala uno dei premi più importanti della sua carriera.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 4
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.3