La Svolta: recensione del film di Riccardo Antonaroli
Brando Pacitto, Ludovica Martino e Andrea Lattanzi sono i protagonisti dell'esordio alla regia di Riccardo Antonaroli, La Svolta. Racconto di formazione citazionista e notturno, su Netflix dal 20 aprile 2022.
La Svolta è il film d’esordio di Riccardo Antonaroli. Presentato in anteprima Fuori Concorso alla 39a edizione del Festival di Torino, prodotto da Rodeo Drive, Life Cinema e Rai Cinema, è disponibile su Netflix a partire dal 20 aprile 2022. L’omonima canzone del film è scritta e interpretata da Carl Brave. Un mix di influenze per un esordio che insegue la sua strada cercando di tirare fuori il meglio dall’universo cinematografico di riferimento. La lista delle citazioni è in effetti lunghetta.
Lo sfondo, una Garbatella notturna e ironicamente “mediata” dalle quattro mura di un appartamento, un bell’appartamento. Quello dentro cui si consuma l’incontro tra due solitudini speciali, quella di Jack e Ludovico. Hanno bisogno entrambi di trovarsi e di capirsi, anche se il primo approccio, sarete d’accordo vedendo il film, è piuttosto anomalo. Nei fatti, al di là del valzer delle influenze, questo è un racconto di formazione.
La Svolta: immaginate Il Sorpasso, non sull’Aurelia, ma dentro un appartamento
Ludovico (Brando Pacitto) ha la Garbatella, popoloso e popolare quartiere di Roma a due passi dall’Eur, a portata di mano. Ma preferisce stare a casa. No, la pandemia stavolta non c’entra. Ludovico è chiuso e insicuro e preferisce consumare la vita solo, mettendo alla prova il suo formidabile talento di fumettista che però nasconde a tutti, quando invece non sceglie di amare da lontano Rebecca (Ludovica Martino), la bella vicina di casa che sta giusto giusto uscendo da una brutta relazione. Jack (Andrea Lattanzi) gli capita in casa in maniera imprevista e non proprio tranquilla.
Jack è, probabilmente, un criminale. Ha rubato dei soldi al boss Tullio Sorrentino che li vuole indietro, se possibile con la testa del ragazzo su un piatto d’argento. Per farlo sguinzaglia i suoi scagnozzi più promettenti. Max Malatesta, che è il personaggio più curioso del film per via di un’etica professionale molto ragionata, oltre all’angelo della morte Marcello Fonte. Jack convince Ludovico a “ospitarlo” a casa sua, in attesa di decidere sul da farsi.
La Svolta inizia con il piede premuto sull’acceleratore, perché quello che conta è avvicinare i due (tre) protagonisti, farli sbattere l’uno contro l’altro ed esaminare le scintille. Anche volendo, è impossibile eludere il modello di riferimento. Non c’è molta ambiguità nella regia di Riccardo Antonaroli quando si tratta di far capire allo spettatore che la dinamica psicologica che regola l’amicizia tra Jack e Ludovico deve molto, non tutto ma molto, all’iconico rapporto (il timido vs. lo sbruffone) tra Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant ne Il Sorpasso (1962) di Dino Risi. Ludovico è chiuso, Jack è aperto. Entrambi soli e in attesa di qualcosa che somigli anche solo vagamente alla salvezza. La comunicazione è inevitabile e necessaria, hanno molto da imparare l’uno dall’altro. Il film circonda il racconto di formazione con un ruvido abbraccio di violenza.
Tanti modelli di riferimento convergono in La svolta, ma anche la voglia di giocarci in modo originale
Il cinema nostro, anni più o meno ’60 e ’70, tra l’altro ironicamente tirato in ballo a un certo punto. La commedia all’italiana e il suo corredo smitizzante, depurato però dalla satira di costume. La (ri)scoperta del genere e la cupa brutalità di un certo filone del cinema e della serialità contemporanea, da Suburra a Dogman. L’affresco criminale violento ma cialtrone, la commedia venata di malinconia, il discorso dei sentimenti frettoloso e fortemente puntato sull’attualità (il maschio possessivo e pericoloso). Il fumetto come bussola nella composizione dell’immagine. C’è un’architettura di riferimenti, ispirazioni formali e narrative che sostengono La Svolta nel suo tentativo di proporsi come emblema di una visione d’autore acerba, ma a suo modo ambiziosa e in cerca di completezza.
Una chiave interessante il film la trova per aggredire la sua ispirazione. Il Sorpasso tentava, riuscendo clamorosamente, a legare certe notazioni generali sull’animo umano, valide sempre, con lo sberleffo grottesco all’Italia del boom, ai suoi falsi miti, ai suoi discutibili eroi. Ma se Dino Risi liberava la sua amara ironia nella corsa sconsiderata dei protagonisti lungo le strade vacanziere del Tirreno, perché quello era lo sfogo di un paese affamato, un po’ volgare ma ancora inegnuamente ottimista, qui la storia è diversa. Dall’altro lato dello specchio, La Svolta fotografa un impietoso ripiegamento nel privato. Non c’è molta più voglia di mordere la strada. Stavolta il timido Trintignant-Ludovico, il suo Ferragosto esemplare se lo gode dentro le quattro mura di casa. L’idea di regia, di sceneggiatura, omaggiare il modello ribaltandolo, è apprezzabilissima.
Brando Pacitto, Andrea Lattanzi e Ludovica Martino sono giovani, giovani nel senso più nobile del termine. Sono disponibili, freschi, intrecciano bene le rispettive personalità. Il film ha in superficie una patina molto romana, tenta coraggiosamente di rileggere in negativo i suoi sfondi, questa è una Garbatella anomala. Non ci riesce fino in fondo. Si sente molto il peso dei riferimenti e delle rispettive influenze, La Svolta non ha la forza di esprimere un’idea di cinema organica e pienamente originale. La dimensione claustrofobica è bene esplorata, forse il tempo della storia si fa un po’ troppo frettoloso sul finale. Imperfezioni giustificabili di fronte a un’idea di cinema che deve ancora farsi, la regia di Riccardo Antonaroli ha comunque i suoi motivi d’interesse.