La Terra dell’Abbastanza: recensione del film dei fratelli D’Innocenzo

Un film coraggioso ma ancora acerbo, che segna il debutto cinematografico di una nuova coppia di autori con una storia incentrata sulla banalità del male e i pericoli dello scegliere la strada più facile

Cosa separa ciò che è giusto da ciò che è facile? Poco, talvolta quasi niente. Una frazione di secondo, un attimo di titubanza, la paura di un momento, pochissimi anni di esperienza e fatalmente si sceglie la via sbagliata, una decisione capace di cambiare per sempre il corso di una vita fino a stritolarla e ridurla in polvere. I fratelli D’Innocenzo, al loro debutto dietro la macchina da presa, indagano questo terribile bivio e le sue conseguenze in La Terra dell’Abbastanza, una cupa discesa negli inferi dell’animo umano in seguito a un drammatico incidente.

Presentato in anteprima al Festival di Berlino 2018, La Terra dell’Abbastanza introduce nel panorama cinematografico una coppia di voci molto sicure di sé, sebbene ancora decisamente acerbe. Lungi dall’essere perfetto, infatti, il film dimostra una notevole dose di coraggio e fiducia nel potenziale della storia raccontata, sviluppando un soggetto non facile che, per quanto imperfetto, non manca di ispirare diverse complesse riflessioni, non ultima cosa avremmo fatto noi al posto dei giovani protagonisti (Andrea Carpenzano, Tutto Quello Che Vuoi, Il Permesso – 48 Ore Fuori, e Matteo Olivetti, Giorni da Leone, Game Over).

La Terra dell’Abbastanza: una strada lastricata di finzioni e scelte sbagliate

La Terra dell’Abbastanza è un film sulle scelte sbagliate e la banalità del male, cui spesso è troppo facile abituarsi. I fratelli D’Innocenzo sembrano ispirarsi alla massima di Yoda nel quinto episodio di Star Wars, L’Impero Colpisce Ancora, quando afferma che il male non è necessariamente più forte, ma è più semplice, più veloce. Una lezione che Mirko e Manolo, ragazzi come tanti, amici da anni e in attesa di finire le superiori per trovare un lavoro da barman, sperimentano sulla loro pelle quando investono accidentalmente un uomo e, complice la strada deserta, decidono di fuggire. Da questo evento, e per via della tossica influenza di Danilo (Max Tortora, Loro, Caccia al Tesoro), padre di Manolo, ha inizio una lunga catena di eventi che porterà i due ragazzi a diventare killer per il clan malavitoso dei Pantano, una strada che li condurrà, di volta in volta, a scegliere sempre e nuovamente la via più facile, fino al prevedibile, ma non per questo tragico, finale.

La Terra dell'Abbastanza Cinematographe.it

Una storia molto cupa e amara, che parla di degrado e della tentazione invincibile che il Lato Oscuro esercita sull’uomo, ma anche un complesso e drammatico ritratto di due anime che si sgretolano sempre più profondamente, due innocenze che vengono spazzate via da una scelta sbagliata e una vita che diventa sempre più violenta fino a sfuggire dalle mani di chi non la sa maneggiare. Il punto, infatti, sta proprio nell’inconsapevolezza di Mirko e Manolo del gioco a cui stanno partecipando e delle dimensioni delle loro azioni, che sembrano perdere progressivamente importanza ai loro occhi man mano che procedono lungo il loro sentiero.

Oltre all’abitudine, forzata al male, tuttavia, esiste anche un altro livello su cui la storia di La Terra dell’Abbastanza articola il suo discorso, ed è lo stordimento, il desiderio di annichilire le voci nel proprio cervello e smettere di pensare, di esistere, perfino. Se da un lato i due ragazzi sembrano accettare con moderato entusiasmo le loro nuove vite, dall’altro Mirko, soprattutto, viene spesso sorpreso a fingere: fingere di non avere paura, fingere di non temere la violenza, fingere di non vivere in preda al senso di colpa che minaccia in ogni istante di prendere il sopravvento e ridurlo in pezzi come il corpo che ha abbandonato sull’asfalto. A questo servono i soldi che sperpera, i regali che compra e il sesso sempre più brutale con la sua fidanzata, Ambra (Michela de Rossi), a perdere se stesso e il proprio tormento anche se per un solo istante, fino al momento in cui il domani, fatalmente, arriva a esigere il suo salatissimo conto.

La Terra dell’Abbastanza: un film coraggioso ma stilisticamente imperfetto

Come si diceva in apertura, La Terra dell’Abbastanza non è un film perfetto, e denota un talento ancora molto potenziale, in sviluppo. I problemi del film iniziano dalla sceneggiatura, che sembra incapace di trovare un vero filo narrativo intorno al quale costruire la propria storia. Dopo un inizio molto promettente, infatti, il film si appiattisce inesorabilmente ed esorcizza qualsiasi tentativo di autentico conflitto appianando le divergenze tra i due protagonisti. Mirko e Manolo, inizialmente molto distanti in seguito all’incidente, finiscono per tornare immediatamente amici, risolvendo istantaneamente quello che avrebbe potuto, e dovuto, essere il conflitto principale del film, ossia un confronto tra i due modi di superare il trauma di aver ucciso una persona. Mancando questo elemento, La Terra dell’Abbastanza finisce per trascinarsi stancamente mettendo in scena una lenta caduta negli inferi che non riesce, tuttavia, a essere interessante quanto le premesse iniziali.

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Un problema, quello dell’assenza di un conflitto, che accomuna anche le due figure genitoriali che accompagnano Mirko e Manolo, rispettivamente Alessia (Milena Mancini, Il Più Grande Sogno, Scusa Ma Ti Voglio Sposare) e Danilo (Max Tortora). Entrambi i personaggi spiccano per un potenziale che non viene mai espresso appieno, e la cui potenza drammatica e narrativa rimangono sempre contenuta e castrata da un copione che non indaga e approfondisce, limitandosi a scalfire la superficie dei propri protagonisti: Alessia è una donna debole che sarebbe stato interessante veder evolvere in seguito alla scoperta dell’attività del figlio, mentre Danilo avrebbe potuto portare all’estremo il suo vivere di sogni senza prospettive e, soprattutto, senza le capacità per emergere davvero. Niente di tutto questo accade, ed entrambi i genitori finiscono per rimanere fermi esattamente dove li avevamo trovati la prima volta.

Come la sceneggiatura non sembra in grado di puntare adeguatamente il proprio fuoco, così anche la regia risalta per le imperfezioni tecniche che dimostra. Complice una ridottissima profondità di campo in quasi tutte le scene, le immagini di La Terra dell’Abbastanza sono sempre appannate, un mare sfocato da cui fanno capolino solo i due protagonisti e solo a tratti, avvolti dalla nebbia che minaccia di ingoiarli nuovamente al minimo movimento che rischia di farli uscire dalla minuscola porzione di mondo resa nitida dalla ripresa. Si tratta sicuramente di una scelta registica molto coraggiosa, come quella di indugiare con insistenza sui primi piani e i dettagli dei volti dei protagonisti, che tuttavia va spesso a scapito della comprensione della scena, a causa anche di una recitazione caratterizzata da un accento talmente marcato e una pronuncia così approssimativa da rendere i dialoghi decisamente incomprensibili in più punti del film. Scelte stilistiche che finiscono per diventare difetti a causa della loro estremizzazione, e che dovranno essere risolti, o quantomeno ripensati, in un’eventuale opera seconda.

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A conti fatti, La Terra dell’Abbastanza è un film cupo e coraggioso, come non riesce però a sfruttare appieno il suo potenziale narrativo e stilistico. Il talento, tuttavia, c’è e si vede, e lascia ben sperare per il futuro di questa nuova coppia di autori.

La Terra dell’Abbastanza debutterà nelle sale italiane il 7 Giugno 2018.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Sonoro - 1
Emozione - 3

2.3