La vedova Winchester: recensione della ghost story con Helen Mirren
Un film di fantasmi che si adagia sulle interpretazioni dei suoi protagonisti, un'ambientazione affascinante e una leggenda americana che ispirerebbe ogni filmmaker. La vedova WInchester, però, non convince. Ecco la nostra recensione
Non è un film horror, è una ghost story, una storia di fantasmi. La vedova Winchester, diretto dai fratelli Spierig (Predestination, Saw Legacy) con protagonista il Premio Oscar Helen Mirren (The Queen – La regina) è un racconto fatto di leggenda e mistero, ma quasi completamente privo di suspense e costellato di jump scares tanto per gradire. Un film, tratto in qualche modo da vicende reali, che si contraddistingue per il suo essere un solo, unico, grande cliché.
Ambientato in California all’inizio del 20esimo secolo, La vedova Winchester ha come protagonisti l’attore australiano Jason Clarke (Zero Dark Thirty) nei panni di uno scettico psichiatra con problemi di droga e un passato drammatico e la regale Helen Mirren nel ruolo della ossessionata ereditiera Sarah Winchester. La donna è la vedova dell’inventore dell’omonimo fucile e, avendo tratto suo malgrado profitto dalla morte, è condannata ad essere perseguitata dalla anime di coloro che sono stati uccisi dall’arma. Per dar loro pace e permettergli di passare oltre abbandonando gli affari in sospeso che hanno lasciato sulla Terra, Sarah costruisce una magione, una villa enorme e labirintica, fatta di scale che non portano a nulla, porte murate e corridoi ciechi. L’azienda di armi, preoccupata che la donna possa aver perso la ragione, decide di sottoporla a una perizia psichiatrica per – eventualmente – interdirla.
La vedova Winchester: una leggenda affascinante, un’esecuzione deludente
La leggenda della vedova Winchester è una storia affascinante (soprattutto perché la casa esiste per davvero ed è possibili visitarla), ma il film non riesce a discostarsi dal convenzionale racconto della dimora stregata, insistendo nello scioccare il pubblico con spaventi scadenti e triti cliché del genere (giocattoli che attraversano i corridoi da soli e minacce in agguato sotto i letti o alla fine di corridoi bui). È deludente riuscire a prevedere tanto palesemente quando e come avverranno i jump scares grazie al trailer che li elenca quasi tutti e al climax costruito in bella vista.
La vedova Winchester costruisce se stesso, similmente a quella casa dedalea, sul luogo comune che “la paura esiste solo nella propria mente”, rifiutandosi di esplorare nient’altro di remotamente angosciante oltre ai già citati (ma imperdonabili) spaventi improvvisi. Tutto si adagia sulla presenza di Helen Mirren, attrice sopraffina che ci mostra la sicurezza e la vulnerabilità di una donna ossessionata e guidata da una missione che la immerge nel buio aldilà. Sembra divertirsi la Mirren, mentre si aggira per casa vestita con neri abiti vittoriani e negli occhi lo sguardo e l’attenzione di chi vede e percepisce cose di cui noi siamo completamente all’oscuro.
Fa un buon lavoro anche Jason Clarke che si districa in un altro angoscioso cliché, quello del medico, dello psichiatra che dovrebbe curare, ma che è il primo ad avere bisogno di aiuto. Dipendente da droghe che servono ad affievolire un dolore nascosto, che lo ossessiona quanto e come Sarah Winchester è ossessionata dai suoi spiriti.
La casa Winchester è un luogo che ogni filmmaker troverebbe affascinante. È un labirinto inquietante costruito appositamente per intrappolare anime. È una grande introduzione per un film di genere, che sia esso un horror o una storia di fantasmi. O, almeno, lo sarebbe se il film dei fratelli Spierig fosse riuscito a catturare la sua grandezza. Non importa quanto le tue fondamenta siano solide, se il resto dell’edificio è di cartapesta, crollerà al primo soffio di vento.