La vita da grandi: recensione del film di Greta Scarano dal Bif&st 2025

Greta Scarano debutta alla regia con La vita da grandi, la storia di un fratello e una sorella (Matilda De Angelis e Yuri Tuci) che diventano adulti insieme. Al cinema dal 3 aprile 2025.

C’è un corto del 2023 dal titolo Feliz Navidad per cui non si potrebbe, a rigor di termini, parlare di debutto. Limitando il discorso ai lungometraggi, è davvero la prima volta. La vita da grandi, in sala dal 3 aprile 2025 per 01 Distribution, è la prima regia “lunga” di Greta Scarano. Il pubblico italiano la conosce solo come attrice (Suburra, Nuovo Olimpo) e adesso dovrà fraternizzare con il versante autoriale della carriera perché, è il caso di sgombrare il campo dagli equivoci, l’opera prima è solida e efficace e tutto lascia pensare che sia solo il primo step di un percorso più elaborato. Greta Scarano ha incontrato la stampa per presentare il suo film e ci ha tenuto a precisare due cose. Primo, non è un capriccio: ha sempre voluto fare la regista, tacendo pubblicamente l’ambizione solo per pudore, timidezza. Secondo, questa non è solo una storia sull’autismo. Va detto che il film rispecchia entrambe le considerazioni. Il controllo della messa in scena, la gestione delle performance, la padronanza del mezzo, insomma, tradisce la serietà della vocazione e le ambizioni della giovane autrice. E poi è vero che La vita da grandi non è solo, ma è anche, un film sull’autismo. È il racconto di formazione di due imperfetti che si ritrovano e imparano a crescere insieme. Con Yuri Tuci, Matilda De Angelis, Maria Amelia Monti, Paolo Hendel, Adriano Pantaleo.

La vita da grandi: tornare a casa per riscoprirsi fratello e sorella

La vita da grandi; cinematographe.it

Greta Scarano è autrice in un modo saggio, non autoreferenziale. Ha il merito, la fortuna, di circondarsi di persone giuste e tra queste c’è sicuramente Matteo Rovere, che non è solo regista ma è anche produttore e con la sua Groenlandia è sempre attento alle istanze di voci autoriali inedite. Soprattutto, Greta Scarano costruisce in maniera corretta l’impalcatura del suo film: non lo scrive da sola, ma si lascia accompagnare dalle quattro mani delle co-sceneggiatrici Sofia Assirelli e Tieta Madia. Non è un soggetto originale, La vita da grandi, ma il libero adattamento del libro Mia sorella mi rompe le balle dei fratelli Damiano e Margherita Tercon. Lui è autistico, lei no – il termine tecnico è neurotipica – esattamente come Omar (Yuri Tuci) e Irene (Matilda De Angelis).

Irene vive e lavora a Roma da tanti anni, è fidanzata con Ugo (Adriano Pantaleo) e non ci pensa proprio a tornare a Rimini. La mamma Piera (Maria Amelia Monti) la avverte che deve assentarsi da casa con papà Walter (Paolo Hendel) per qualche giorno e con Omar qualcuno deve pur starci. Irene va a Rimini scontenta perché Omar, a cui vuole un gran bene, è autistico, e non sa che pesci prendere. Ma Piera non fa tanti giri di parole: un giorno lei e il marito non ci saranno più e toccherà a Irene provvedere al fratello; tanto vale che cominci a far pratica, ora. La vita da grandi è la storia dell’apprendistato alla vita (adulta) di Omar e Irene; nei toni, il paradossale ma salvifico equilibrio tra leggerezza e malinconia. La convivenza è difficile all’inizio, tesa col passare del tempo e struggente alla fine.

Irene all’inizio cerca di “sbarazzarsi” del fratello, fornendogli un astratto manuale di sopravvivenza per adulti. Quando le cose non funzionano, è costretta a mettere in discussione tutto di sé: vita, sogni, idee, rimpianti. Omar la travolge con la forza delle sue idee – vuole fare il gangsta rapper autistico, sogna la donna ideale e tre figli, il numero perfetto – e tanto basta a spingerla a guardarsi dentro per ritrovare, nella traccia dei sogni e dei grandi dolori (ci sono) del fratello, l’ombra dei suoi rimpianti, dei suoi sogni di gioventù – anche lei voleva fare l’artista, poi ha mollato – e la voglia di ricominciare da capo. La vita da grandi è una favola dolceamara con una morale in tre passi. Si cresce come individui solo abbracciando gli altri. Si cresce non rinnegando il bambino o la bambina di ieri, ma capendo cosa salvare e cosa no, delle cose passate. I nostri punti di forza e i nostri limiti, le condizioni che sperimentiamo, ci definiscono ma non spiegano tutto di noi. La condizione, qui, è ovviamente l’autismo.

La storia di un fratello e una sorella, da soli e insieme

La vita da grandi; cinematographe.it

La vita da grandi poteva deragliare in tanti modi. Concentrandosi sul solo Omar, per esempio, schiacciando il personaggio sulla condizione di uomo autistico e aprendo la strada al ricatto emotivo e al pietismo. Privilegiando Irene e il punto di vista della sorella emotivamente trascurata dai genitori per far fronte alle esigenze dell’altro; il trionfo del sentimentalismo e della retorica. Greta Scarano salva il film mantenendo una provvidenziale equidistanza da entrambi. Non è la storia di Omar o Irene: è la storia di Omar e Irene. Tutta questione di congiunzioni, ce ne sono di giuste e sbagliate per ogni tipo di storia. Lo racconta a suo modo anche il titolo, no? L’italiano La vita da grandi e l’inglese Siblings – sibling vuol dire fratello o sorella e in psicologia si usa per descrivere il fratello/sorella di una persona con particolari esigenze – hanno una cosa in comune: il plurale.

Il film parla d’autismo, ma non solo. La condizione è il punto di partenza per raccontare Omar e il suo stare al mondo; i punti di forza e i limiti che lo caratterizzano, non lo definiscono. Yuri Tuci porta sullo schermo la sua vita e la sua esperienza di attore autistico. Modella Omar con implacabile ironia e partecipazione, e racconta la sua vita oltre le banalizzazioni e i luoghi comuni. Matilda De Angelis è contemporaneamente spalla e guida del collega. La transizione di Irene, nel film, è complessa e sa gestirla bene: lontananza, egoismo, paura, poi calore e partecipazione, guardando alla totalità del personaggio e non alla bidimensionalità del sibling. Greta Scarano racconta la storia d’amore – non capita spesso, di vederla tratteggiata così – di un fratello e una sorella che si scoprono, anzi si riscoprono, fratello e sorella grazie a uno sconcertante paradosso. Si cresce, da individui, solo insieme agli altri e mai da soli; non scordando il passato, ma scegliendo accuratamente cosa lasciare indietro e cosa portare avanti.

Lo fa bilanciando leggerezza e dolorosa profondità, abbinando la centralità dei protagonisti alla ricchezza di dettaglio (psicologico, sentimentale) dei margini della storia, dai genitori Paolo Hendel e Maria Amelia Monti alle parenti indiavolate Ariella Reggio e Gloria Coco al clan di amici di Omar. Non tutto quadra, sarebbe a dire che non c’è spazio per tenere dentro il film la sovrabbondanza di idee della sua regista – il rapporto tra Matilda De Angelis e il partner Adriano Pantaleo, per esempio – ma l’equilibrio di leggerezza e malinconia, la spinta aggiustatrice tra estetica autoriale e leggibilità, l’idea coraggiosa di raccontare l’autismo parlando d’altro, veicolano un messaggio preciso. Non è un capriccio pretenzioso. È davvero nata una regista.

La vita da grandi: valutazione e conclusione

Greta Scarano non è da sola. Il cinema italiano recentissimo vive nel segno del debutto di voci autoriali femminili, da Paola Cortellesi (C’è ancora domani) a Margherita Vicario (Gloria!) a Sara Petraglia (L’albero) e insistere sul punto sarebbe limitante – sorta di ghettizzazione rosa, la donna regista – ma un filo conduttore c’è. A legare La vita da grandi agli esordi di questi ultimi tempi è la volontà di stare in equilibrio tra pulsazioni autoriali intransigenti e spettacolarità. Nel mix di toni e registri che caratterizza il passo a due di Matilda De Angelis e Yuri Tuci c’è la promessa di un bel tipo di cinema: il cinema del compromesso, il giusto compromesso, tra intelligenza e commercialità. La vita da grandi non è un film perfetto ma è un esordio vitale e coraggioso che schiva molti luoghi comuni dei debutti – non è pretenzioso, si sovraccarica di idee ma sa tenere a freno la sua voracità e impazienza – per proporci una voce autoriale che merita di essere ascoltata.

Regia - 3
Sceneggiatura - 3
Sonoro - 3
Fotografia - 3
Recitazione - 3
Emozione - 3

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