La vita è una danza: recensione del film di Cédric Klapisch
Dal regista de L’appartamento spagnolo, Cédric Klapisch, una commedia intima e delicata sul mondo della danza, ritratto in maniera autentica ma non sempre sincera. Disponibile al cinema dal 6 ottobre per BIM Distribuzione.
Lo sport e le arti performative come occasione di riscatto, rinascita, rivincita. La danza come metafora della vita che scorre nonostante i sacrifici e le difficoltà. Sono questi i pilastri su cui si fonda La vita è una danza (En Corps), delicata ed intima commedia di Cédric Klapisch. Protagonista della pellicola è infatti Elise – interpretata dalla prima ballerina dell’Opéra di Parigi, Marion Barbeau – una giovane e promettente stella della danza classica, con un futuro luminoso davanti. Un giorno, però, Elise scopre che il fidanzato la tradisce dietro le quinte di uno spettacolo e, scossa per l’accaduto, subisce un grave infortunio in scena. All’improvviso la sua vita perfetta inizia a vacillare a causa dell’impossibilità di danzare per qualche tempo. Per ritrovare il proprio equilibrio e riconnettersi alla propria esistenza, Elise compirà un viaggio – fisico e mentale – insieme ad un gruppo di amici, non lasciandosi sfuggire l’opportunità di ricominciare da capo.
La vita è una danza – il contrasto netto fra danza classica e danza contemporanea come metafora del percorso di Elise
Elise è una giovane donna che sin da bambina ha sacrificato tutto in nome della danza. Amici, svago, qualsiasi altro interesse per lei non erano importanti. Per questo un infortunio a 26 anni sancisce, almeno all’inizio, non solo il crollo della propria carriera ma anche delle proprie certezze e, in un certo senso, della propria vita. Un ritratto già visto e a tratti stereotipato, che non permette allo spettatore di empatizzare con una figura già portata spesso sullo schermo. Il binomio inscindibile danza classica-sacrificio diviene però nel film il pretesto iniziale per raccontare la rinascita di una persona a cui è venuto a mancare – letteralmente – il terreno sotto i piedi. E non è un caso che Elise riprenderà a ballare solamente quando farà la conoscenza di una compagnia di danza contemporanea. Nella danza contemporanea, infatti, fondamentale e fondante ritorna ad essere il rapporto con il suolo, con la terra, con la fisicità delle proprie radici. Non più una ballerina eterea e in tutù, che rifugge la materialità e volteggia in aria, ma una danzatrice che cerca – e necessariamente trova – il contatto con il suolo. Una metafora nuova ed inedita nel panorama dei film incentrati sulla danza, che però àncora la pellicola ad un contesto troppo specifico e settoriale. Il grosso pregio, ed allo stesso tempo limite, de La vita è una danza è infatti il legame con il tema centrale, che rende il percorso di Elise ripetibile solo il quel contesto, non divenendo quindi universale. Ad ampliare ed animare il microcosmo di Elise – e quindi del film – un gruppo di personaggi che cercheranno di aiutarla nel suo percorso di riabilitazione. La ragazza, infatti, lascerà il confort della sua vita a Parigi e si recherà in Bretagna insieme ad un’amica che ha subito la sua stessa sorte. Qui, grazie all’incontro con nuovi amici – i ballerini della compagnia di danza contemporanea -, ad un nuovo amore e ad un’inaspettata figura materna riuscirà finalmente a contemplare la possibilità di una rinascita.
Forza di volontà e sacrificio – Se ti impegni davvero tutto è possibile
Passione o sacrificio? Cosa spinge davvero un ballerino – e più in generale un essere umano – a compiere grandi sforzi e rinunce per raggiungere un obiettivo? E cosa accade quando questo obiettivo coincide con il senso e l’essenza della propria vita? Sono queste le domande intorno a cui ruota La vita è una danza. Il regista Cédric Klapisch cerca infatti di scardinare e ribaltare l’idea secondo cui la danza classica è sinonimo di sofferenza, creando un personaggio il cui percorso si muove letteralmente fra questi due opposti. Elise ha scelto di danzare, nonostante le rinunce che ha comportato, e sceglie nuovamente la danza nel momento in cui le si aprono davanti mille altre possibilità. La danza diviene quindi passione e necessità, l’unica strada possibile per continuare a vivere. Ciò che però manca all’interno del cammino di Elise è la profondità della scelta e, di conseguenza, una coerenza narrativa. In nome del principio cardine alla base dell’intero racconto, vengono infatti compiute scelte e tagli di trama netti e precisi, che si muovono nell’unica direzione di portare la protagonista a scegliere la danza – e quindi la vita – anche a scapito di tutto il resto. Non importa che il medico della ragazza ipotizzi un intervento in seguito alla frattura o che il suo fisioterapista la sproni a riprendere a danzare in maniera graduale. Il corpo guarisce se lo spirito guarisce e quindi basta una ferrea forza di volontà per ricominciare a ballare. Un’idea da sempre radicata negli sport movie ma che in questo caso risulta assolutamente inverosimile.
La vita è una danza – L’intera narrazione ruota (letteralmente) intorno alla protagonista Elise
La vita è una danza rimane quindi indissolubilmente ancorato all’assunto che il titolo italiano mette bene in evidenza. Assunto che si concretizza nel corpo e nelle movenze della protagonista del film, Elise. Il mondo che si crea intorno alla ragazza è infatti funzionale alla sua guarigione e al suo volersi riappropriare di un’identità che sembra perduta. Ogni singolo personaggio vive e si muove all’interno del microcosmo che il regista ha deciso di rappresentare, quello della danza. E di conseguenza quello di Elise. I membri della compagnia di danza contemporanea – composta principalmente da reali ballerini, fra cui spicca Mehdi Baki, che interpreta il ragazzo di cui Elise si innamora – il coreografo della compagnia (Hofesh Shechter), i suoi amici Loïc e Sabrina (Pio Marmaï e Souheila Yacoub), la proprietaria dell’albergo in cui la compagnia si riunisce per provare (Muriel Robin) ed anche il suo fisioterapista (François Civil) sono infatti necessari nel percorso che Elise decide di intraprendere. Persino il rapporto con il padre Henri (Denis Podalydès) viene analizzato alla luce della relazione di Elise con la danza. Genitore e figlia riusciranno infatti finalmente a comprendersi nel momento in cui Henri assiste allo spettacolo di Elise, nel quale viene riversata tutta la rabbia e il dolore del duro cammino appena compiuto – e dei traumi passati.
La vita è una danza descrive quindi un microcosmo specifico ma imperfetto che ha proprio nel voler raccontare esclusivamente ciò che avviene al suo interno il maggior difetto. Un racconto autentico – ma non sincero – del mondo della danza, che rimane saldamente ancorato alle sue convinzioni e che ruota – letteralmente – intorno alla propria protagonista, ideato e costruito ad uso e consumo di un pubblico che apprezza e conosce il mondo della danza.