Ladri di biciclette: recensione del capolavoro di Vittorio De Sica
Ladri di biciclette è indiscutibilmente uno dei massimi capolavori del neorealismo italiano, un film del 1948 diretto e prodotto da Vittorio De Sica
Ladri di biciclette è un film del 1948 diretto da Vittorio De Sica, da un soggetto originale di Cesare Zavattini, scritto con la collaborazione di Suso Cecchi d’Amico, Oreste Biancoli, Adolfo Franci, Gerardo Guerrieri e Gherardo Gherardi. Ladri di biciclette è indiscutibilmente uno dei massimi capolavori del neorealismo italiano e del Cinema di tutti i tempi, che è stato inserito nella lista dei 100 film italiani da salvare, nata con lo scopo di segnalare 100 pellicole che hanno cambiato la memoria collettiva del Paese tra il 1942 e il 1978. Nel 1950 fu insignito dell’Oscar al miglior film straniero e di una nomination come migliore sceneggiatura non originale a Cesare Zavattini.
Ladri di biciclette, girato ampiamente con attori non professionisti, è interpretato da Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci), Enzo Stajola (Bruno Ricci), Lianella Carell (Maria Ricci), Gino Saltamerenda (Baiocco), Vittorio Antonucci (ladro), Elena Altieri (patronessa di beneficenza), Ida Bracci Dorati (santona), Carlo Jachino (vecchio mendicante) e da un giovanissimo Sergio Leone (seminarista).
Il film di Vittorio De Sica ci porta nella vita di Antonio Ricci, un uomo disoccupato che vive nella periferia di una Roma post bellica. Antonio tenta con difficoltà di mandare avanti la propria famigliola composta da sua moglie Maria, da suo figlio Bruno e una figlia appena nata. Antonio finalmente riesce a trovare un piccolo lavoretto come attacchino, ma per poterlo fare ha bisogno di una bicicletta. Sua moglie Maria, comprendendo l’urgenza e la necessità di quel lavoro, impegna l’intero corredo di famiglia per riscattare la bicicletta che aveva già impegnato. Antonio comincia a lavorare, ben contento dell’impiego, ma proprio il primo giorno di lavoro gli viene rubata la bicicletta. In preda alla disperazione, Antonio va alla ricerca della sua bici e del ladro per le strade di Roma con il suo piccolo figlio Bruno.
La ricerca li porta dapprima a Piazza Vittorio e poi a Porta Portese, ma senza alcun risultato. Così Antonio, senza saper dove andare, tenta il tutto per tutto rivolgendosi ad una nota veggente, detta la Santona, che però non gli è particolarmente d’aiuto. Uscendo dalla casa della veggente, Antonio incontra quello che secondo lui è il ladro della sua bicicletta, accusandolo del furto, scoprendo amare scene di povertà ai margini di una capitale carica delle sue macerie. Antonio, non avendo alcun testimone che possa attestare la colpevolezza del ragazzo, decide di lasciar perdere, sentendosi sconfitto ed umiliato. Camminando per Roma padre e figlio finiscono fuori lo stadio, dove c’è un partita che si sta disputando. Antonio vede centinaia di biciclette ammassate fuori dallo stadio e impulsivamente ne afferra una e scappa ma, malauguratamente, viene acciuffato da una folla incattivita. Il proprietario della bici, mosso dal pianto del figlio di Antonio, decide di non sporgere denuncia, così padre e figlio, mortificati, si disperdono nella folla.
Ladri di biciclette: il capolavoro di Vittorio De Sica
Ladri di biciclette è una delle pietre miliari del neorealismo italiano, una storia che suona come una parabola, una favola triste, in cui il plurale che sottende il titolo è sicuramente cruciale: infatti si scopre che ci sono due ladri, uno all’inizio del film, un altro alla fine. All’epoca in cui uscì il pubblico del cinema Metropolitan di Roma non accolse bene il film, anzi reclamò la restituzione del prezzo del biglietto. Ma quattro anni dopo la sua uscita, ebbe un tale impatto che la rivista cinematografica britannica Sight & Sound lo conclamò come il più grande film di tutti i tempi.
Il capolavoro di Vittorio De Sica è un film sull’isolamento, sulla solitudine di un piccolo uomo in un mondo complesso e in rovina. L’intera struttura di questo quadro tragico nasce dall’incontro della commedia e della tragedia della vita quotidiana. La trama si inserisce nella vita di Antonio Ricci, un uomo scosso e distrutto da un mondo miserabile e indifferente che De Sica ritrae con grande amarezza, commozione e ironia. All’interno del film il sapore della realtà è percepibile, i luoghi e gli ambienti sono parte integrante della materia drammatica, la naturalezza di ogni scena è enfatizzata dall’impostazione scenografica e dalla scelta di mettere alla prova un cast quasi interamente non professionale.
De Sica porta sullo schermo non solo i disagi e i disordini postbellici di una città come Roma, ma confuta i paradossi della povertà, la pietà della miseria e la disperazione che abita un uomo che tenta di sopravvivere. Antonio Ricci è un personaggio guidato dalla lotta di classe e da una personale rivalsa economica e sociale; il film fotografa anche la vita lavoratrice ambientata in una culla di miseria, inserita in una società che doveva affrontare i propri paradossi, in cui la ricchezza doveva essere distribuita in modo più uniforme e più giusto.
Il neorealismo è una scuola, l’insieme di tante voci, di stili, di personalità, e Vittorio De Sica ha scelto per mezzo di Ladri di biciclette, di portare sullo schermo non solo una parte della vita romana, ma la realtà stessa intesa non come imitazione ma come verità. Si assiste ad una Roma travagliata, demolita, che diventa protagonista, che non resta sullo sfondo. Il neorealismo nasce anche in questa piccola grande parentesi sociale; il film di Vittorio De Sica è una semplice e pura opera d’arte, che spesso è talmente brutale da essere senza tatto, un’opera che ti strappa il cuore.
De Sica e Zavattini, per cogliere al meglio la quotidianità e le vite delle persone, fecero lunghe passeggiate che diventarono vagabondaggi, pedinamenti, che li portarono poi attraverso quelle che sarebbero diventate le scene e gli episodi del film: dalla messa dei poveri, alla stanza della santona. Per il regista questo era l’unico modo per cogliere una consistenza reale, che fosse replicabile nel film, ovvero sorvegliare la realtà, indugiare quanto più possibile anche con la cinepresa.
Ladri di biciclette è una delle pietre miliari del neorealismo italiano
Lamberto Maggiorani è superbo, riesce ad esprimere le sottili transizioni dell’uomo umiliato, sconfitto, il cui potenziale emotivo accompagna tutto il film, ed Enzo Staiola, che interpreta il figlio, possiede una tale drammaticità e una sensibilità che sono percepibili anche solo attraverso il suo volto, così espressivo e così maturo.
Ladri di biciclette non è un film che inventa una storia, non somiglia alla realtà, è realtà narrata come una storia, ed è per questo che ancora oggi è un capolavoro assoluto, un film poetico, ineccepibile, autentico al centro del quale c’è la dignità di un uomo. Antonio dipende totalmente dal suo lavoro e dalla bicicletta, come anche la sua famiglia, perciò la perdita della sua bicicletta è simbolica, diventa la sottrazione di una necessità primaria, di una dignità appena ottenuta. Il figlio Bruno è l’intimo testimone dell’umiliazione del padre e della sua inadeguatezza, mentre Antonio sembra incapace di abbracciare l’unica vera necessità primaria della sua vita, che non è la bicicletta in verità, ma suo figlio. Ma quel tipo di calore, quella morale, quella redenzione Antonio sembra non poterla mai cogliere, lasciando che il suo personaggio e il film non finisca mai davvero, scivolando in una dissolvenza che lascia i personaggi e la storia in un’ombra senza rinascita.