L’afide e la formica: recensione del film di Mario Vitale
La commovente simbiosi tra un professore dal passato ingombrante e un'adolescente dall'identità divisa. Tra entomologia, sentimento e allusioni a temi di stringente attualità L'afide e la formica, esordio di Mario Vitale, è una corsa faticosa ma gratificante.
Non preoccupatevi, se di corsa si tratta vale solo per i protagonisti, voi dovete mettervi comodi e guardarli soffrire. L’afide e la formica, esordio alla regia per il calabrese Mario Vitale, usa la corsa, il podismo, come grimaldello narrativo ed emotivo per raccontarci qualcosa d’interessante su identità, società e relazioni umane. Lo fa poggiando le piste del racconto, non sono neanche poche, su un’anima convenzionale nella forma ma ben strutturata. Il film conserva una grazia e una semplicità che si fanno apprezzare.
Disponibile su Sky e Now Tv dal 26 febbraio 2022, precedentemente in sala a fine 2021, nel cast ricordiamo Beppe Fiorello, Cristina Parku, Valentina Lodovini, Nadia Kibout e Alessio Praticò.
L’afide e la formica: il rapporto particolare e la promessa di rinascita tra una ragazza che non riesce a fare i conti con la sua identità e un uomo in crisi
Se correre vuol dire anche scappare, come ripete un’incisiva linea di dialogo del film, da cosa scappa, precisamente, Fatima (Cristina Parku)? La ragazza è nata in Italia da genitori musulmani, ha origini marocchine e vive, con tutte le complicazioni del caso, da immigrata di seconda generazione. Italiana (senza cittadinanza) e insieme marocchina d’origine, Fatima è presa nel mezzo, letteralmente, tra il bisogno di sentirsi come tutti gli altri (lo è, ma fatica a riconoscersi nel modello) e l’adesione a stimoli culturali diversi da quelli del mondo in cui è nata e cresciuta (porta il velo). Vive con la sorellina e la madre (Nadia Kibout), la voce dell’autorità e del richiamo alla tradizione, senza il padre che se ne è andato chissà dove. Troverà un punto di riferimento molto forte in Michele.
Michele (Beppe Fiorello) è l’insegnante di educazione fisica di Fatima, ha un passato ingombrante e molto doloroso, un rapporto difficilissimo con l’ex Valentina Lodovini e un legame insinuante con Alessio Praticò, il cattivo che non ti aspetti. Al momento dell’incontro decisivo con la ragazza Michele è depresso, sconfortato, pericolosamente alla deriva. La scintilla, l’occasione di rinnovamento, è nascosta nella ritmica ovattata di scarpe e asfalto. Michele ha i suoi trascorsi da atleta di un certo livello e pensa bene di proporre agli allievi di partecipare a una rinomata gara podisitica che si tiene ogni anno in città. Proposta giudicata irricevibile dalla classe, con l’eccezione rumorosa di Fatima. Che non sa bene cosa cerchi e cosa speri di trovare, in tutto questo sudore, ma è determinata ad andare avanti.
L’afide e la formica è un titolo spudoratamente entomologico. Il riferimento, verrà chiarito man mano che la storia procede, è al misterioso e strettissimo rapporto di simbiosi che la natura, o le convenienze del caso, instaurano tra i due insetti. Un gioco di reciproca solidarietà e assistenza che rende migliore la vita di tutti, tu mi dai nutrimento, io ti offro protezione etc. Il rapporto tra Fatima e Michele è un po’ così, lui preparatore, lei atleta di belle speranze. Va detto che l’affresco atletico, la preparazione, la gara, il sudore e l’imponderabile crudeltà delle salite, è reso in modo piuttosto realistico. Prendete questo appunto come oro colato, chi scrive ha agonizz.. ehm, corso, con notevoli risultati (no), pure la maratona. E sa di cosa parla. Chiaro come il sole che il film non si esaurisce nel mero spot per l’atletica leggera.
Correre significa mettersi in gioco, non solo nella vita privata
Mario Vitale non ha pretese d’autore, almeno con L’afide e la formica. Disegna un film accogliente e lineare per lo spettatore. Le idee sono tante, ma la struttura del racconto le accoglie senza eccessi pretenziosi. Le traiettorie dei protagonisti sono leggibili dal principio ma la cosa non disturba perché si avverte, all’ombra del film, una volontà che spinge la storia in questa direzione. Certo, per spirito di contraddizione, andrebbe pure ricordato come, nel far correre insieme i due protagonisti, L’afide e la formica permetta a Fatima e Michele di vivere vite autonome, con relative promesse, speranze e fantasmi del Natale passato. Questo è il caso soprattutto di Michele.
Il passato dell’uomo, come torna nella storia, crea una linea narrativa parallela al corso principale del racconto. Il senso è lo stesso: per Fatima e il suo insegnante, mettersi in gioco significa risvegliarsi e definire fino in fondo la propria identità. Per Fatima la posta in gioco è conciliare le due anime, italiana e marocchina, partendo dal presupposto che è la prima quella decisiva. Con tanti saluti a chi si ostina a considerare la cittadinanza per tutti quelli nati in Italia da genitori stranieri una benevola concessione, magari condita da un bel pizzicotto di congratulazioni, non uno status acquisito dalla nascita. Per Michele, si tratta di mettere le cose a posto nel privato, con una risposta e una presa di posizione che ha ricadute civili, politiche.
Criminalità, ius soli, doppie identità, sudore e asfalto. Le anime complicate del film si intrecciano in una confezione sobria anche se puntellata qua e là da qualche incursione onirica. Nella sua tranquilla chiarezza L’afide e la formica, che ha un obiettivo chiaro in mente e lo raggiunge senza eccessi ma anche senza particolari cedimenti, è soccorso dalla credibilità del suo buon cast. C’è il dolore dignitoso e composto di Valentina Lodovini, che lavora bene su un tempo di scena limitato, il contrasto naturale tra la faccia buona di Alessio Praticò e i suoi modi tutt’altro che benevoli, la malinconia esistenziale e un po’ rabbiosa di Beppe Fiorello. Soprattutto, la luminosità della giovane e brava Cristina Parku, che scava dentro i contrasti della sua protagonista con la giusta dose di leggerezza.