Laika: recensione del film di Aurel Klimt
Laika: un film animato che gioca con gli stereotipi, con i suoi personaggi e con le circostanze.
Il 3 novembre 1957 una dolce cagnolina di nome Laika, 3 anni, 6 kg di peso, venne lanciata, a bordo dello Sputnik, nello spazio dai Russi. Laika è stata il primo essere vivente mandato in orbita ma nessuna gloria per lei, è stata solo un esperimento teso a capire quale potesse essere la qualità della vita nello spazio in assenza di gravità, un esperimento finito male (morì nella navicella a causa di una tecnologia che non garantiva ancora il rientro in sicurezza). Una storia triste quella della famosa cagnolina che è resa favola, spettacolare nella sua insensatezza, da Aurel Klimt in Laika, un film animato a passo uno che, diventando a tratti musical, racconta il viaggio della celebre cagnetta, prima addestrata a diventare una “cosmonauta”, poi colonizzatrice insieme ad altri animali di un pianeta lontano.
Laika: tutto ha inizio in un sobborgo di una città russa
La vita per Laika non è mai stata semplice, all’inizio vive nei sobborghi di una città russa, deve lottare per trovare il cibo e per prendersi cura dei suoi tre cuccioli. Sarà proprio durante una “partita di caccia” alla ricerca di cibo – godibile la scena in cui deve fuggire da un gruppo di cani randagi e inferociti per proteggere il “bottino” – che l’eroina a quattro zampe verrà catturata e poi addestrata per essere mandata in orbita. La protagonista supera tutti gli step, si dimostra ricettiva agli stimoli, ed è pronta al grande volo. I russi non sanno che Laika è di molto migliore di loro; lo si comprende dalla scena in cui di notte esce dal luogo dove è tenuta prigioniera per tornare dai cuccioli e portarli con sé in missione. Fin da subito è chiaro, l’uomo, messo a confronto con la cagnolina, non è particolarmente sagace e “intuitivo”, ne sono esempio tangibile i due scienziati che l’hanno preparata al “viaggio”, tutt’altro che geniali, anzi, ma anche i due astronauti che giungeranno nel pianeta lontano dove Laika già vive. Gli uomini hanno difetti che li rendono odiosi, nonostante il riso che provocano: l’astronauta russo (Gagarin), con le manie di protagonismo, di uno che poi diventerà “dio”, moderno e pagano, si ingelosisce all’idea che sia una cagnolina a toccare per prima il suolo lunare.
Laika invece è rappresentata come un’eroina, ricca di caratteristiche positive, come dice lei stessa è “scaltra come in una favola di Esopo“: ingegnosa, rapida nel ragionamento, capace di spezzare il cordone ombelicale che la lega agli uomini, diventando padrone di se stessa e esempio per i suoi cuccioli. Finalmente, già nella navicella sono liberi e lo saranno ancor di più quando giungeranno non sulla Luna ma su un altro pianeta in cui troveranno una terra ospitale e tanti nuovi amici.
Laika: il racconto di un pianeta in cui tutto sembra perfetto
Su quel pianeta incontra non solo forme di vita indigene ma anche altri animali, mandati con navicelle tutte uguali (l’unico elemento di differenza è una sigla indicante il paese di provenienza) da nazioni diverse dalla sua: scimmie, piccioni, una mucca formano una comune in cui sono tutti sodali e obbedienti ad una regola non scritta, non ci si ciba gli uni degli altri. Questo è un luogo accogliente, privo di rigidi e limitanti schemi politici, economici e morali, è un mondo da favola, una sorta di giardino dell’Eden in cui tutto è possibile.
Non devono temere niente e nessuno fino a quando non arriva l’essere umano ed è a questo punto che il loro mondo si capovolge: l’astronauta russo vuole comandare, in virtù di un’altra legge non scritta, secondo cui l’Uomo è il migliore tra gli “animali”. In un primo momento, per uno strano e utilitaristico principio nazionalistico, vorrebbe avere come alleata proprio Laika che non sta a questo gioco, poi ha inizio una lotta di uno contro tutti che ha come fine, il cibarsi degli animali di quel pianeta. Il cosmonauta, brutto, crudele, sciocco quanto basta, convinto di poter vincere contro un “esercito”, prende le forme di una Elsa (Frozen) al maschile e, armato, congela tutti gli esseri viventi in modo da avere una riserva alimentare ma Laika&Co non glielo permettono.
Laika: un film animato che gioca con gli stereotipi, con i suoi personaggi e con le circostanze
Il tutto si fa ancor più complicato quando arriva un astronauta americano, da sempre “nemico” dei russi; i due, portano su questo pianeta i vecchi stilemi, si coalizzano per dimostrare la loro supremazia, fatta di forza bruta, su coloro che reputano esseri inferiori. Laika gioca con gli stereotipi (la falce e in martello in miniatura con cui la cagnolina spezza i fili che la fanno comunicare con la base), con i personaggi e con le circostanze, rendendo tutto buffo e divertente (l’astronauta russo che diventa come la strega cattiva di Hansel e Gretel). Ci sono comunque delle ingenuità – dettate anche dalla tecnica a passo uno che se da un lato porta chi guarda in un mondo altro, dall’altro inciampa su se stesso – che, soprattutto nella seconda parte, fanno perdere un po’ di forza al film d’animazione.
Emerge chiaramente, sempre di più, fino nel finale, che gli animali si uniscono con un unico scopo, la difesa, come in una sorta di Torre di Babele pur parlando lingue diversi si comprendono fino in fondo mentre l’uomo, nonostante non comprenda il suo stesso simile (Usa e URSS), si unisce a lui per demolire, distruggere, esercitare il potere su chi è ancor più debole.
Laika: la parabola di una cagnolina che trova la libertà
Laika chiede allo spettatore di credere in un’altra Laika, con una storia diversa a quella a cui siamo abituati. Invita ad immergersi in questo pianeta senza farsi troppe domande, a lasciarsi andare in un mondo bipartitico in cui da una parte ci sono Unione Sovietica e Stati Uniti, dall’altra gli animali tra cui emerge Laika, eroina di un luogo che non esiste eppure utopisticamente sarebbe bello esistesse. Tra una battuta e una canzone, il film d’animazione di Klimt è l’ironica parabola della cagnetta che ha compiuto un viaggio dall’atroce e triste finale, che è stata sacrificata in nome dell’umanità e del suo progresso e che tra le mani del regista ceco prende le forme di un sentito, forse ingenuo ma non per questo banale, inno di libertà.