L’albero: la recensione del film di Sara Petraglia da Roma FF19
Sara Petraglia tratteggia con tenerezza e malinconia la gen Z, attonita e spaesata di fronte a quel bisogno di vivere.
Fotografa di scena per il cinema e per la televisione, Sara Petraglia con L’albero segna il suo esordio da regista. Presentato in concorso alla 19ª Festa del Cinema di Roma e con nel cast Tecla Insolia e Carlotta Gamba, L’albero è un ritratto dei ventenni di oggi, un dramma carico di tenerezza e malinconia, con due magistrali attrici capaci di instillare tutte le angosce, le tensioni e i dubbi propri della generazione nata nei primi anni 2000.
L’albero e la “tristezza” delle sue protagoniste
Bianca e Angelica sono amiche, sono entrambe schiave della droga, hanno entrambe la possibilità di vivere da sole al Pigneto, sono iscritte all’università, ma non la frequentano e il rapporto con le proprie famiglie non sembra approfondito. Oltre all’albero, che dà il titolo al film di Sara Petraglia, c’è un altro elemento cardine del racconto: appeso al muro c’è il ritratto di uno dei più grandi poeti di tutti i tempi: Giacomo Leopardi. Il pessimismo cosmico, l’amore stroncato sul nascere, una morte prematura, un male di vivere, quel continuo senso di sconfitta e delusione, e la disapprovazione di rimanere perseguitati da tutto ciò che non elargisce e alimenta la voglia di vivere. Tutti temi espressi nel film. Bianca e Angelica sono artiste che ascoltano canzoni d’altri tempi, che citano Leopardi e che osservano, stupite e meravigliate, quell’albero incantevole che sorge vicino la loro casa al Pigneto. L’albero compare così in una delle prime scene del film, diventando oggetto di domande e risposte mai date, rivelate forse solo alla fine: le ragazze si chiedono dove sorga, che albero sia e le loro soluzioni sono opposte.
Disinteressate non trovano un accordo e non escono incuriosite per sapere dove realmente si trovi. Questo apparente inutile dettaglio non fa che rappresentare simbolicamente la perenne incertezza che vivono, come se tutto fosse soggetto a eclissarsi e dissolversi da un momento all’altro. E anche quella sicurezza, interiore e intima, che è allegoricamente, la reale collocazione di quell’albero, non è oggetto di una febbrile ricerca, perché tanto, nulla è eterno, tutto finisce. L’albero è l’emblema di una natura che non interessa più, di un fascino che è diventato opulento, datato, che ha solo l’attrattiva di essere qualcosa che non si può controllare e sul quale non si ha potere. Le ragazze arrivano ad avere una sommessa consapevolezza di sé, ma questa si riduce a un’altra domanda “Perché siamo sempre così tristi?“, e poi si rivela, anche questa volta, non così importante sapere il perché. Da Roma a Napoli, Bianca e Angelica, i cui nomi incarnano un senso di purezza e innocenza che la droga sembra alterare, ma che la poesia eleva e che, in un gioco antitetico, abbatte ed esprime alcuni cliché.
La gen Z tratteggiata da Sara Petraglia
Gli stereotipi del film, mascherati da un tentativo di originalità, fanno riflettere su quanto sia più tranquillo e pacifico ancorarvisi. In L’albero ci sono i temi universali della voglia di vivere e di un sogno necessario da inseguire. Per far sì che quella infelicità e arrendevolezza non diventino tenaci, assidue e troppo resistenti per essere definitivamente spezzate. Il mondo circostante, una capitale incapace di offrire ciò di cui si ha bisogno e una Napoli che millenaria, sede di miti e credenze popolari, anche in quei vicoli senza tempo nasconde il richiamo della stessa droga che si trova a Roma. Città che non sembrano aver concesso a Bianca e Angelica la speranza di trovare uno scopo nella vita. O forse un posto nel mondo. Vagando senza meta, sempre vestite di nero, sono vestite anche quando, nel loro viaggio, si siedono sugli scogli in riva al mare, perché il mare non è la vacanza estiva fuori dalla velocità e dall’impazienza della metropoli, ma un qualcosa che va visto, almeno una volta nella vita, il luogo dove andare per aver almeno tentato di allontanarsi dalla monotonia.
Bianca e Angelica sono fortemente influenzate dall’uso smodato della droga, e da una vita agiata che permette loro di vivere discretamente, di viaggiare e di non preoccuparsi delle ristrettezze economiche che potrebbero normalmente affliggere la generazione più giovane, agli albori di una situazione lavorativa di precarietà che non fa che peggiorare. Sara Petraglia rappresenta così due giovani post-adolescenti alle prese con quella meditata e rassegnata insoddisfazione che provano. Ma non si tratta della tristezza nel senso più stretto del termine. Se la regista raffigura le ventenni di oggi, le presenta come sperdute, disorientate, smarrite, confuse e demoralizzate nei confronti di un mondo che le ha lasciate sole. Ancor di più dei millenial, la generazione Z di Sara Petraglia rimane attonita e spaesata di fronte a quel bisogno di vivere, che diventa però un lasciarsi vivere, senza partecipare attivamente allo scorrere delle giornate.
La trama in L’albero è secondaria
L’albero, indubbiamente poetico e sentimentale, non racconta una vera e propria storia. Il film non è nel rapporto che si instaura e sviluppa tra le due protagoniste ad avere il proprio carisma e la propria forza trainante. Ma è nella rappresentazione della condizione di due ragazze di 20 anni che desiderano solo di vivere libere dall’angoscia di sensazioni e dubbi non detti, di verità mai svelate, prede dell’esitazione che rassicura nel suo essere statica, indeterminata ed equivoca. Tutto ciò che è ovvio nell’affetto che le lega ha tutte le motivazioni e le ragioni per non essere ciò che cercano, per essere forse tossico, forse frutto di una dipendenza affettiva che le ingloba in una relazione immutabile, invariabile, e che può solo finire. Prima di ricominciare, insieme o da sole, non più vittime e artefici di qualcosa che devono trovare la forza di lasciar andare.
L’albero: valutazione e conclusione
Non è un tema facile quello che Sara Petraglia ha deciso di rappresentare. Ma la regista ci riesce, affidandosi a qualche dialogo forse di troppo che aiuta ad entrare nella psicologia delle protagonista, ma che Tecla Insolia e Carlotta Gamba sarebbero riuscite a trasmettere anche senza bisogno di parlare. Punto di forza del film sono infatti le due attrici, protagoniste di un rapporto diffuso di dolcezza e ambiguità, sincerità e paura, naturalezza e confusione. Parte da Leopardi, il poeta del vago, dell’indefinito, dell’ignoto, l’albero è la natura benigna che concede all’essere umano l’immaginazione. Qualcosa che si erge lontano e impreciso. L’albero è l’analogia dell’entusiasmo giovanile che si è perso, l’infelicità che Leopardi considerava assoluta e che si può combattere solo uniti. In L’albero però, ad anni di distanza da ciò che ha scritto il poeta italiano, si ritrovano alcune somme verità, ma anche una fame che si risveglia flebile, che ribelle non vuole vivere di rimpianti e che sente un desiderio di vita e di serenità che può raggiungere.
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