L’altra luna: recensione del film diretto da Carlo Chiaramonte
L'altra luna ci mostra con realismo quanto può essere terribile il prezzo da pagare per la libertà in questa società.
Con L’altra luna Carlo Chiaramonte ci tira con forza lirica, sin dall’inizio, in un’ambientazione idilliaca – sulla neve – dove non si può soffrire. Il regista torna affettuosamente nella città di Sarajevo per filmare una declinazione moderna dell’amore e della felicità nell’era contemporanea, che richiede principalmente di accettare – viaggiandoci dentro – le improvvise rivelazioni della vita. Il film di genere drammatico – una produzione Stemo Production in associazione con Xenon Servizi e Seven Dreams, in collaborazione con Rai Cinema, sostenuta dal PROGRAMMA MEDIA Sviluppo – Progetti Singoli, riconosciuto di Interesse Culturale Nazionale dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, vede nei ruoli di “amanti perdute” l’attrice bosniaca Luna Mijovic (Youth – La giovinezza) e l’italiana Tania Bambaci (che ha iniziato la sua carriera recitando in diverse fiction televisive come Squadra Antimafia, Maltese Il romanzo del Commissario, Il cacciatore). Dopo l’uscita sulla piattaforma Cinemagia, L’altra luna, che vede nel cast anche Matteo Silvestri, Armin Omerović e Maja Jurić, arriva nelle sale italiane il 16 giugno 2022.
L’altra luna ha il nome di Martina
A Sarajevo la neve è caduta da poche ore, ma certe impronte del passato si conservano nella coscienza per essere sempre rievocate come fa Maja, che riavvolge in flashback, primariamente per se stessa, i preziosi attimi vissuti accanto alla sua migliore amica Luna la quale – senza dare spiegazioni – una bella mattina invernale prende l’auto per partire lontano. Nella “Gerusalemme d’Europa”, che porta i segni di tanti conflitti, vecchi e nuovi, il film tratteggia i suoi personaggi mostrando la varietà umana presente nella città: Maja, Haris, Matteo e Luna. Chiaramonte approfondisce la personalità di Luna nel clima vacanziero vissuto da due coppie di amici: Luna e Haris e Maja e Matteo. Luna è una ragazza spigliata che vive a Sarajevo, ma anche una brillante studentessa universitaria; sta per sposarsi con il fidanzato di lunga data, ma inizia a vivere questa situazione come un peso. Maja invece vive con insoddisfazione la sua relazione con il businessman Matteo. Gli equilibri dei quattro amici si alterano senza più rimedio quando arriva in vacanza a Sarajevo la giovane Martina – presentata come l’amica di Matteo – in fuga dall’Italia (dalla sua famiglia, dalla sua vita monotona, e, soprattutto, da chi continua a dirle cosa fare e come comportarsi). Martina si trova in un periodo di crisi personale, e arriva nella capitale bosniaca alla ricerca di se stessa; riesce a risplendere nella sua intima bellezza, delicatezza e spontaneità, nonostante sia un personaggio inizialmente filtrato dalle parole sprezzanti di Maja (che teme sia la nuova fiamma di Matteo). L’italiana sarà per Luna un “terremoto” – l’evento improvviso – una nuova religione: la porta di ingresso di un mondo nuovo.
Il lungometraggio parla anche della volgarità della società
Nonostante il ritmo frenetico della vita quotidiana, le due protagoniste Luna e Martina riescono a fermarsi, ad ascoltarsi, a leggere nei meandri della loro anima, che cela i desideri, che sa chi veramente siamo, che può indicare il cammino da percorrere. Luna e Martina si sentono allo stesso modo, sono due personaggi slegati dai loro contesti, straniati dal mondo che le circonda. Il montaggio di Annalisa Schillaci (recentemente vincitrice del David di Donatello) fa ripartire spesso le scene dallo schermo nero per spostarci in un altro tempo, in un altro luogo, o per prepararci al trauma: allo staccatissimo finale. Ma nella vita, come al cinema, gli schermi neri servono per ripartire, magari con un fiore nuovo sullo sfondo. Martina appare per le strade di Sarajevo come una Cappuccetto Rosso in cerca di “fiori”, ma deve prestare attenzione in questa storia di legami che come i fiori possono intrecciarsi o spezzarsi. E infatti i lupi cattivi sono ovunque, il lungometraggio sa parlare della volgarità della società, e ricorda che i fiori sono anche del “male”. L’altra luna ci mostra con realismo quanto può essere terribile il prezzo da pagare per la libertà in questa società. La sceneggiatura, la recitazione naturale e spontanea (anche se in realtà è studiata ), la freschezza della fotografia, descrivono un linguaggio umano: dal punto di vista di Maja è una storia di rimpianto, per la coppia Luna-Martina è una storia di speranza. Luna non sarà più ossessionata dal personaggio schiacciato dai rimorsi di Lady Macbeth. Ma di Maja si potrà dire lo stesso?