L’assassino di mia figlia: recensione del documentario Netflix
La crociata di un padre per consegnare alla giustizia il carnefice di sua figlia nel documentario diretto da Antoine Tassin. Disponibile su Netflix dal 12 luglio 2022.
Cosa faresti se tua figlia venisse uccisa e il suo assassino rimanesse a piede libero? Aspetteresti fiducioso che la legge del Paese dove il delitto si è consumato facesse il suo corso oppure prenderesti in mano la situazione? Per André Bamberski non c’è stato nessun dubbio sulla strada da seguire nel momento in cui ha intuito che qualcosa nella morte della figlia Kalinka, inizialmente attribuita a cause naturali, non quadrava. Motivo per cui ha deciso di vestire i panni di un vigilante adottando misure estreme per consegnare alla giustizia e alle patrie galere quello che ritiene il responsabile dell’omicidio. Era il 10 luglio del 1982 quando la quattordicenne veniva trovata senza vita nella camera di un appartamento dove si trovava temporaneamente in Germania con la madre e il patrigno, il dottor Dieter Krombach. Ed è proprio su quest’ultimo che – ne L’assassino di mia figlia – si vanno a concentrare i sospetti dopo che l’esame autoptico aveva rivelato che il decesso della ragazza si era verificato in seguito a un’iniezione praticata dal patrigno.
L’assassino di mia figlia: il regista Antoine Tassin rimette insieme i pezzi di una storia agghiacciante per dare forma e sostanza a un progetto true crime che non può non lasciare il segno
Parte da qui una vera e propria crociata decennale di un padre per dimostrare al mondo e alla legge la colpevolezza di Krombach, un ricco, influente e rispettabile cardiologo molto ben visto dalla comunità locale di Lindau. Insomma il classico insospettabile che riporta alla mente il Donald Cline di Our Father, dietro il quale si nasconde un pervertito sessuale e uno stupratore, nonché omicida. Nel documentario dal titolo L’assassino di mia figlia, rilasciato su Netflix il 12 luglio 2022, il regista francese Antoine Tassin rimette insieme i pezzi di una storia agghiacciante per dare forma e sostanza a un progetto true crime che non può non lasciare il segno nello spettatore di turno.
Sono le parole di André Bamberski a guidarci in una lunga ed estenuante caccia all’uomo che terminerà anni dopo in un’aula di tribunale
L’autore affida il testimone della narrazione al diretto interessato, ossia a Bamberski che ripercorre passo dopo passo le fasi salienti che porteranno dall’omicidio di Kalinka alla condanna del suo assassino. Saranno le sue parole a guidarci in una lunga ed estenuante caccia all’uomo che terminerà anni dopo in un’aula di tribunale. Ai racconti scioccanti quanto toccanti dell’uomo si andrà a sommare un coro greco di voci, quelle di una serie di testimoni informati dei fatti (avvocati, medici legali, paramedici, giornalisti, pazienti di Dieter Krombach, vicini di casa, altre vittime di abusi e reporter) che con le loro dichiarazioni aggiungono ulteriori tasselli a questo racconto corale dell’orrore, quello che si è consumato ai danni di una giovane innocente.
L’assassino di mia figlia si va a infilare nel solco tracciato in questi anni dal true-crime e dal documentario d’inchiesta
Ecco che L’assassino di mia figlia si va a infilare nel solco tracciato in questi anni dal true-crime e dal documentario d’inchiesta. Ne segue alla lettera i dettami e il modus operandi, a cominciare dal mix senza soluzione di continuità di materiali d’archivio, interviste inedite e ricostruzioni di fiction. Il ché ne fa un prodotto a uso e consumo di una platea generalista e degli abbonati alle piattaforme come Netflix. Show come quello firmato da Tassin fanno leva sulle emozioni e sul coinvolgimento del fruitore che viene messo a conoscenza dei fatti e dei suoi risvolti seguendo filologicamente e più o meno fedelmente un approccio di tipo giornalistico, quindi distaccato e oggettivo per fare in modo che gli eventi narrati arrivino a destinazione senza manipolazioni, tesi di parte e soprattutto ben documentati. Da questo punto di vista L’assassino di mia figlia assolve al suddetto compito, così come accaduto precedentemente per La ragazza nella foto di Skye Borgman, portando all’attenzione di una platea su larga scala un fatto di cronaca nera a molti sconosciuto.