Le Due Vie del Destino: recensione
Il nostro passato determina ciò che siamo nel presente e, inevitabilmente, condiziona il nostro futuro: una scontata frase fatta tipica delle ramanzine “post-bravate” dei nostri genitori ma anche una verità assoluta insita nella vita dell’uomo fin dalla notte dei tempi.
Il passato sa essere spregevole e meschino ed Eric Lomax lo ha sperimentato a caro prezzo. L’ex soldato scozzese faceva parte delle truppe della corona inglese inviate a Singapore che nel lontano 1942 si arresero all’avanzata giapponese, dando così inizio a una delle pagine di storia più sconosciute e crudeli del conflitto mondiale più recente.
Da sempre appassionato di treni e ferrovie, per uno strano scherzo del destino, si trova a patire le pene dell’ inferno nella condizione di schiavo al servizio dell’esercito nipponico che necessita della costruzione di una ferrovia che colleghi Singapore a Bangkok. Dopo anni di violenze e sevizie, riuscirà ad uscire vivo da una realtà storica che ha stroncato decine di migliaia di vite umane così poco conosciuta solo perché colpevole di essere avvenuta in un periodo in cui gli occhi del mondo erano puntati qualche miglio più ad ovest per ragioni tristemente simili. È questo il riassunto dell’autobiografia di Lomax portata egregiamente nelle sale di tutto il mondo da Jonathan Teplitzky(Better than sex, Burning man).
Le Due Vie del Destino (The Railway Man): una storia straordinaria
Il regista australiano ha saputo sfruttare al massimo le doti di uno straordinario Colin Firth coadiuvato da una Nicole Kidman ritornata all’ aria candida e dolce di qualche tempo fa dopo essersi resa conto dei danni mastodontici che la chirurgia plastica può provocare in una bellezza angelica e genuina come la sua. L’ attore inglese torna in un ruolo del calibro del Giorgio VI balbuziente de “Il discorso del re” con un’interpretazione che sembra metterlo a proprio agio e che lo conferma attore di spessore che sa anche ingraziarsi il proprio pubblico attraverso ruoli come l’Harry Bright di “Mamma mia” dal quale l’ unica cosa che non è cambiata é la compagnia di Stellan Skarskârd che stavolta interpreta Finley, amico fraterno di Lomax dai tempi della prigionia e grazie al quale avrà luogo la giusta conclusione della storia.
Un passato trascorso al caldo torrido e tropicale della foresta asiatica, un presente da vivere sulla grigia e uggiosa costa scozzese: sono queste “Le due vie del destino” per conciliare le quali Lomax ha combattuto con i fantasmi presenti dentro di sé.
Il film è un perfetto e avvincente amalgama tra le due vite del protagonista, una imprescindibile dall’altra, tenute insieme da un indistruttibile filo di grida e silenzi personificati nello sguardo di Firth.
Altra piacevole sorpresa del lungometraggio é stata il 24enne Jeremy Irvine (War horse, Grandi speranze), il giovane Lomax che dà consistenza alle paure di Firth. In questa cornice ben definita è essenziale la presenza di una ritrovata Nicole Kidman che interpreta Patti, la caparbia e innamoratissima moglie di Lomax disposta a tutto pur di risolvere la psicolabilità del marito. Un cast ben assortito tra premi Oscar e giovani promettenti é la ricetta giusta per questo dramma esistenziale che fa cultura, il che non guasta mai!