Le seduzioni: recensione del film di Vito Zagarrio
Esce al cinema dal 22 febbraio 2024 l'adattamento del romanzo di Lidia Ravera Le seduzioni dell'inverno (2008), storia dell'educazione sentimentale di un radical chic partenopeo di mezza età.
“L’uomo è poco sé stesso quando parla in prima persona. Dategli una maschera e vi dirà la verità” asseriva Oscar Wilde, noto dispensatore di aforismi. A volte, infatti, per rivelarsi occorre assumere un’altra identità oppure cedere a un mascheramento. È quanto fanno – se rispettivamente o no non lo riveleremo – Sophie (Amélie Daure), una domestica francese colta e charmante che fugge a un passato misterioso, e Stefano (Andrea Renzi), editore non più di primo pelo che, nei servigi di Sophie, trova l’ordine segretamente agognato.
Separato da due anni, l’uomo appartiene, grazie anche allo status e al denaro dell’ex moglie Sarah (Marit Nissen), alla Napoli (auto)ghettizzata e ghettizzante della classe alta: con sbandierata indifferenza nei confronti del suo privilegio sociale, abita in una grande magione delle zone bene, svolge una professione intellettuale, può permettersi una moto, una fidanzata giovane di belle speranze letterarie, promettente all’esordio, però incartatasi sull’opera seconda, e persino di commentare snobisticamente che mai rivolgerebbe a una cameriera le sue attenzioni. Naturalmente, negare che non si farebbe una cosa è rivelarne il desiderio inconscio.
Le seduzioni: un (non più) ragazzo incontra una ragazza
Le seduzioni del titolo sono quelle subìte da Stefano, trascinato via da sé verso un altro sé in un’età in cui l’educazione sentimentale dovrebbe essere già compiuta, e invece nel suo caso non è mai nemmeno cominciata. L’inverno presente nel titolo del romanzo di Ravera ed epurato da quello del film è una condizione acronica di indisponibilità a perdere: per amare, bisogna pagare un prezzo, ma Stefano ha sempre voluto prendere senza darsi, finendo per condannarsi a una solitudine inalienabile, forse neanche fino in fondo riconosciuta. L’incontro con l’alterità enigmatica di una donna – non a caso straniera e sfuggente, una donna apparentemente ‘contrattualizzabile’, in realtà insinuante e scomoda, incontrollabile – lo spinge a mettere una posta in gioco. Solo così, forse, qualcosa può cambiare: perdendo qualcosa di sé, non tutto va perso. Ci si può aprire all’altro e a un altro sé.
Il film lavora con e a partire da una buona materia narrativa, complicata e persino scottante: l’impossibilità di far coincidere un percorso di formazione affettiva con un range anagrafico standardizzabile; i segreti contrattempi tra sviluppo biologico e sviluppo psichico; la necessità di una ‘velatura’ nell’assunzione della propria verità, sempre troppo scabrosa perché possa dirsi direttamente a sé stessi come agli altri, e ancora più scabrosa quando si tratta di una verità sessuata, della difficile, insieme fortuita e artificiosa occorrenza dell’incontro con l’altro sessualmente desiderato. Nell’affrontare un soggetto appunto complicato che interseca psicologia e società, l’opera si muove tuttavia maldestra, povera di mezzi tecnici e senza una precisa direzione drammaturgica e interpretativa. Il cast non riesce a restituire omogeneamente i moti interni più sottili né a colorare socialmente il discorso scenico inserendolo in un ambiente di riferimento che sia riconoscibile nella sua specificità senza farsi macchiettistico o approssimativo. La Napoli radical chic del film ci appare soltanto abbozzata, priva di quella crudeltà che l’avrebbe resa memorabile. E neanche l’irruzione del desiderio ‘invernale’, sebbene necessariamente e salvificamente ridicolizzante, in fondo scompone più di tanto l’attempato (non più) anaffettivo: la sua rettifica è fatta sì di sfumature, eppure rigide. La rapidità del tratteggio irruvidisce infatti un film che, già in sede di scrittura – di traduzione dal medium narrativo a quello rappresentativo –, avrebbe avuto bisogno di ordire più finemente il movimento drammatico.
Le seduzioni: valutazione e conclusione
Le seduzioni è uno (pseudo)divertissement che non trova in nessun reparto tecnico la forza per sollevarsi dall’idea da cui origina e, così, realizzarsi compiutamente. La storia si presterebbe a un’indagine in punta di fioretto: un uomo non può giovane toglie la muffa dal cuore quando incontra una donna seducente e bugiarda. Al riparo dall’obbligo della verità, dietro uno schermo o in un bluff, gli amanti possono rivelarsi tali: solo nella farsa, i sentimenti mettono in disordine i feticci identitari, la maschere interne che incrostano mentre ci si ostina a credere che siano quelle esteriori a essere pericolose. Un film che muove dunque da un soggetto interessante, ma che rallenta presto il passo fino a irrigidirsi del tutto: la fotografia è stinta, la sceneggiatura stantia, l’interpretazione degli attori discontinua per qualità. Nel complesso, un lavoro poco riuscito, tanto privo di carattere d’urgenza quanto di esemplarità psicoanalitica.