Taormina 68 – Le voci sole: recensione del film con Giovanni Storti
Il film di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi vede per la prima volta Giovanni Storti in un ruolo drammatico
In concorso alla 68esima edizione del Taormina Film Fest, Le voci sole di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi, vede protagonisti Giovanni Storti, Alessandra Faiella e Davide Calgaro. Il film uscirà nelle sale il 4, 5 e 6 luglio distribuito da Medusa Film. Una produzione Nieminen film e Point Nemo in collaborazione con Èliseo Multimedia.
A causa della pandemia, Giovanni si ritrova senza lavoro. Costretto a emigrare in Polonia per cercare una nuova occupazione, resta in contatto con la moglie e il figlio grazie a lunghe videochiamate serali in cui la donna gli insegna a cucinare da remoto. Quando una di queste videochiamate diventa virale in rete, la coppia raggiunge una popolarità che pare la soluzione di tutti i loro problemi economici. Presto però questa fortuna si rivelerà una condanna a una vita sotto l’occhio di un pubblico ignorante e violento, che giudica senza conoscere e colpisce con le sue voci al vetriolo.
Le voci sole – Giovanni Storti nel suo primo ruolo drammatico
L’esposizione mediatica di una famiglia come tante che “svende” l’intimità, la quotidianità per soldi, per il successo facile, per cambiare vita. Le voci sole di Andrea Brusa e Marco Scotuzzi è un racconto essenziale, su una vicenda che potrebbe capitare a chiunque attirati dalle “sirene” della popolarità sui social. Un film fatto, appunto, di voci, quelle di Rita, Giovanni e del loro figlio adolescente durante le telefonate e le videochiamate, nei messaggi vocali su WhatsApp che fanno anche da “commento” alle scene in fabbrica nelle quali non si vede mai Giovanni, interpretato da Giovanni Storti, in “libera uscita” dal trio con Aldo e Giacomo, che si trova alle prese con il suo primo ruolo drammatico. Immagini asettiche, come a voler sottolineare l’alienazione che comporta un certo tipo di lavoro. La vita della fabbrica la conosciamo solo tramite le parole di Giovanni, il rapporto con i colleghi, la fatica la sentiamo dalla sua voce e la vediamo dal volto stanco una volta rientrato a casa la sera, solo di fronte a uno schermo.
La solitudine dietro lo schermo
La sua solitudine è quella vissuta da molti in questo momento storico, presi dai social, dall’apparire, all’inseguimento di un successo a colpi di like, mentre dall’altra parte dello schermo la vita non va esattamente come ci aspettavamo. Come Rita che pensa di svoltare mentre Giovanni rimane con i piedi per terra e scopre la cattiveria gratuita dietro i social, il prezzo del successo facile che invade e distrugge il privato e, come spesso ci viene raccontato dalla cronaca nera, può portare anche a un epilogo drammatico e irreversibile.
In Le voci sole l’alienazione non si rivela più, come un tempo, il lavoro estenuante in fabbrica, più volte rappresentato al cinema, ma quel bisogno irrazionale di condivisione, di apparire che può portare alla rovina. Quello che all’inizio sembra un racconto sulla fatica, sulle ingiustizie sul luogo di lavoro, si rivela invece un elogio della normalità, del lavoro che nobilita l’uomo, dell’autenticità contro l’apparenza, del guadagnarsi il pane con dignità.
Una costruzione forse un po’ ridonante quella de Le voci sole, che vede lo stesso “schema” ripetersi dall’inizio alla fine, ma la storia arriva dritta al punto, coinvolgendo il pubblico nell’alienazione dei protagonisti, nel loro perdersi dietro un’abbagliante e precaria vita alla ribalta.