L’eccezione alla regola: recensione del film di Warren Beatty

Warren Beatty torna a dirigere e a recitare in un film che racconta i fasti e le ipocrisie della vecchia Hollywood: L'eccezione alla regola è ora su Netflix.

Marla Mabrey (Lily Collins) ha poco più di vent’anni quando, nel 1958, dalla Virginia si trasferisce a Hollywood in compagnia dell’apprensiva e severa madre (Annette Bening). Il suo sogno è quello di fare l’attrice, ma lei per prima si rende conto di non aderire ai canoni imposti dall’industria cinematografica del tempo – è L’eccezione alla regola, da cui il titolo del film – perché troppo magrolina, non dotata per il ballo, fervente battista ignara delle tentazioni della carne, più sognatrice che realmente attrezzata per farsi largo in un mondo di squali. Anima affine, tanto nel candore quanto nell’ambizione, è quella di Frank Forbes (Alden Ehrenreich), un autista alle dipendenze del magnate del cinema (nonché aviatore) Howard Hughes (Warren Beatty). I due giovani si innamorano nonostante molteplici resistenze di carattere morale, scrupoli legati a precedenti impegni affettivi e l’esplicita proibizione del ‘capo’, ma è proprio la personalità bizzarra e imprevedibile di quest’ultimo a mettere maggiormente a dura prova il loro fragile sentimento.

L’eccezione alla regola, il ritorno alla regia di Warren Beatty dopo quindici anni di assenza

L’eccezione alla regola è un film scritto, diretto, finanziato e recitato da Warren Beatty, mostro sacro del cinema americano dei tempi d’oro che torna alla regia dopo quindici anni di riflessione. Lo fa nel modo più convenzionale possibile, con una storia che assomma tutte le voci dell’ossessione americana, dalla fascinazione per l’industriale tutto genio e sregolatezza che vede sgretolarsi la sua salute psichica alla rappresentazione di una vecchia Hollywood più interessata ai guadagni che alla sperimentazione artistica, tra l’altro affatto aliena dal bigottismo e dalla mentalità repressiva imperante. È questa traccia, in un film in cui non appare mai chiaro cosa Beatty voglia mostrare – la fallacia del sogno americano e i suoi costi emotivi e psicologici? La resistenza della cultura puritana in America? Le luci e le ombre nella vita di un uomo tanto potente quanto nevrotico? –, a esprimere le maggiori potenzialità, peccato che la contraddizione tra l’esasperata morale sessuale e la spregiudicatezza dell’industria hollywoodiana sia un aspetto soltanto sfiorato, che galleggia sulla superficie di un’opera incapace di offrire una vera angolatura sulla vicenda biografica di Hughes, che tra l’altro è stata già riletta filmicamente da Martin Scorsese in The Aviator, nel 2005.

L'eccezione alla regola cinematographe.it

Un film fiacco e senza focus che intreccia le vicende di due giovani innamorati al baratro psichico di Howard Hughes

L’eccezione alla regola è ugualmente fiacco nel mettere in scena le fasi di un innamoramento percepito come colpevole, che prelude a un amore irregolare e faticoso, le cui vicende si intrecciano ai diversi momenti del deterioramento cognitivo e psicologico del tycoon, il quale condusse gli ultimi anni di vita in una condizione di quasi totale isolamento. Beatty sceglie di anticipare di circa un decennio la degenerazione di Hughes, ritraendolo già vecchio, ipocondriaco e allettato nel 1964, quando, in verità, è negli anni Settanta che il grande industriale cominciò a declinare inarrestabilmente.

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Lo fa per accelerare e così capitalizzare al massimo la parabola discendente di un uomo d’affari straordinario, che il regista guarda dal punto di vista sempre ambiguo della magnificazione che sguazza con perverso compiacimento nei tratti deviati del carattere, nell’aneddoto biografistico morboso ed eccentrico.

Film deludente e senza centro, concepito da Warren Beatty per offrire un altro banco di prova a se stesso

Beatty si accartoccia, così, nello studio di un “fenomeno” e costruisce il suo esile film su un narcisismo attoriale, il suo, tutt’altro che esile, sul desiderio, cioè, di sfidarsi ancora una volta con l’interpretazione di un personaggio grandioso e disturbato. Non riesce però mai a essere disturbante e quel che avvilisce di più è, a ben guardare, l’estrema innocuità del film. La scrittura è piatta e monotona come le interpretazioni di attori peraltro bravi e patinati, a partire dall’hepburniana Lily Collins che ha senz’altro il physique du rôle, ma, a causa soprattutto dei vistosi limiti di sceneggiatura, non aggiunge al suo personaggio molto di più. Debole anche la fotografia ‘seppiata’ che insabbia e saturizza le trame coloristiche invecchiando il film, prodotto di un’ispirazione stanca che si dibatte tra stimoli e motivazioni differenti, ma senza centratura.

L’eccezione alla regola si trova attualmente su Netflix.

Regia - 2
Sceneggiatura - 1.5
Fotografia - 1.5
Recitazione - 2
Sonoro - 1.5
Emozione - 1.5

1.7

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