Lee and Me: recensione del documentario di Alessandro Garilli
La recensione del documentario scritto e diretto da Alessandro Garilli incentrato sul tema attuale delle violenze di genere, disponibile dal 25 novembre 2023 su Prime Video.
Ci sono temi che purtroppo per natura e brutture della società in cui viviamo sono destinati a rimanere di strettissima attualità. Quello del femminicidio e della violenza di genere nelle sue diverse e malate espressioni è uno di questi. Lo era ieri e lo è ancora di più oggi in cui un giorno si e l’altro pure la cronaca racconta di casi di donne vittime di efferati delitti e di violenze dentro e fuori le mura domestiche da parte di uomini che si fa fatica a definire tali. Il numero crescente di episodi, non ultimo quello dell’omicidio di Giulia Cecchettin per mano dell’ex fidanzato, non suona più come un campanello d’allarme, bensì come una piaga alla quale provare a porre rimedio. Il mondo dell’arte in tal senso ha provato e sta provando a dare il proprio contributo alla causa della sensibilizzazione dell’opinione pubblica e della denuncia attraverso iniziative e opere che affrontano con gli strumenti a disposizione il tema. Motivo per cui c’è da accogliere sempre con grande piacere, interesse e sostegno tutti quei progetti audiovisivi che si concentrano sull’argomento in questione. Tra questi figura Lee and Me, il documentario scritto e diretto da Alessandro Garilli, distribuito da Prime Video in esclusiva sulla propria piattaforma a partire dal 25 novembre 2023.
Lee and Me focalizza il proprio baricentro narrativo su due vicende di violenza e abusi distanti nel tempo e nello spazio
Quale data migliore se non quella della giornata internazionale contro la violenza sulle donne, istituita dall’ONU nel 1999, per il lancio della suddetta pellicola. Non è la prima volta e non sarà di certo l’ultima che sul piccolo e sul grande schermo viene proposta un’opera che parla delle argomentazioni di cui sopra. Proprio in queste settimane sono andate in onda miniserie come Circeo di Andrea Molaioli o Per Elisa – Il caso Claps di Marco Pontecorvo, incentrati su altrettanti casi che hanno sconvolto l’Italia nei decenni passati, lasciando cicatrici indelebili nella cronaca quanto nella memoria collettiva. Ecco allora che non fa notizia la realizzazione di un documentario come Lee and Me che focalizza il proprio baricentro narrativo su due vicende di violenza e abusi passando attraverso le esperienze e i racconti delle vittime e dei carnefici. Ma se è frequente incontrare progetti audiovisivi che scelgono il punto di vista e la prospettiva delle prime, molto meno frequente è imbattersi invece in progetti che propongono quello dei secondi, che nel caso del documentario di Garilli sono dei sex offenders. Pochissimi sono infatti i precedenti e tra questi c’è sicuramente il potente e scioccante Un altro me di Claudio Casazza, un docufilm che ci porta per un anno intero in un reparto del carcere di Bollate al seguito di detenuti rei d’aver commesso reati sessuali protagonisti di un percorso sperimentale in cui criminologi e terapeuti vestono i panni terreni di un Virgilio dantesco, nel tentativo di sottrarre questi stessi uomini dall’inferno delle pulsioni incontrollate.
Un docu-film strutturato come una graphic novel in bianco e nero
La differenza in Lee and Me la fa più che altro la confezione e la veste data dall’autore alla propria opera per veicolare contenuti dal peso specifico non indifferente del quale ha deciso di farsi portatore. Strutturato come una graphic novel in bianco e nero, il documentario di Garilli è un viaggio nella vita di una donna (l’americana Lee Miller, nota modella, fotografa e fotoreporter del Novecento) che ha subito una violenza e di un uomo (il kosovaro Sami) che ha commesso un abuso. Si tratta di due storie, distanti nello spazio e nel tempo, che però mostrano un doloroso punto di contatto e che si aprono in un dialogo attorno ad un tema duro e crudo che il regista approccia con uno stile impattante e al contempo delicato e rispettoso. Lo fa cucendo con cura e attenzione i fili delle due linee narrative entrando da prima dentro la vita di una persona che ha subito una violenza e poi nel racconto della vicenda di un uomo che ha commesso una violenza. Lo strumento per rendere possibile tale dialogo è come già detto quello delle tavole di un fumetto animato (realizzate per l’occasione da Michele e Federico Penco), ma anche la voce di alcuni sex offenders detenuti nel carcere di Velletri (tra cui lo stesso Sami), la convincente interpretazione dell’attrice Alice Lamanna che per l’occasione veste i panni della Miller e delle testimonianze di esperti di vario tipo, tra cui la psicologa Maria Rita Parsi che tracciano delle linee guida da seguire per cambiare le fondamenta della nostra società.
Un’opera cross-mediale nella quale codici e linguaggi diversi comunicano in maniera efficace
Il tutto genera una struttura stratificata e complessa per quanto concerne l’architettura del racconto nella sua interezza, con tasselli che per caratteristiche genetiche appaiono distanti, eppure attraverso la forma pensata dall’autore e messa a disposizione del progetto questi diventano accessibili alla pari dei contenuti, quanto basta per fare in modo che comunichino tra loro senza fagocitarsi a vicenda. Sta proprio in questa capacità di amalgamare il tutto il punto di forza di questo lavoro.
Lee and Me: valutazione e conclusione
La violenza di genere nelle sue diverse e malate espressioni al centro di docu-film che usa in maniera efficace e immediatamente codificabile la forma della graphic novel per veicolare storie, contenuti e temi dal peso specifico rilevante. Un dialogo a distanza nello spazio e nel tempo tra carnefici e vittime che trova in un’opera cross-mediale e nei linguaggi diversi del documentario, della fiction e del fumetto, il modo per toccare corde, puntare il dito e sensibilizzare come solo il buon cinema di denuncia e civile sa fare. Regia, scrittura, sonoro e fotografia di qualità sono al completo servizio della causa.