Lei (Her): recensione del film di Spike Jonze con Joaquin Phoenix
Lei mette in scena il contrasto fra il bisogno umano di intimità e la vastità dell'universo che circonda le persone, vittime di una progressiva incomunicabilità che non sembra trovare soluzione nel ricorso alla tecnologia.
Un futuro non troppo lontano, in cui la tecnologia si è affinata al punto di prevaricare l’intelligenza umana e alla compagnia di un proprio simile diviene preferibile quella di un OS (Operative System), una sorta di assistente vocale in grado di interagire con la stessa – se non superiore – sensibilità di un essere umano. Questa la premessa di Lei (Her), il film del 2013 per la regia di Spike Jonze con protagonista uno straordinario Joaquin Phoenix.
Lei vede al centro delle vicende il solitario Theodore (Phoenix), un uomo profondo e complesso che non riesce a darsi pace dopo la fine del matrimonio con la sua compagna di vita Catherine (Rooney Mara), imploso a causa della diffusa incapacità di far fronte ai cambiamenti e alle imperfezioni dell’altro, in un mondo che mira sempre di più al disimpegno e all’evitare il sacrificio. Un cambiamento socio-culturale indotto soprattutto dal sopravvento della tecnologia, sempre più in grado di sostituirsi agli esseri umani, semplificando la vita e le relazioni sociali supportandole in modo all’apparenza innocuo ma in realtà invadente e irreversibile; lo stesso Theodore lavora come scrittore di lettere per innamorati e parenti che non sanno più trovare da soli le parole per esprimere i propri sentimenti, decidendo così di delegarli ad un’intelligenza esterna in grado di estrapolarli dalle poche informazioni sui loro rapporti.
Una deriva subdola e silenziosa che allontana sempre di più gli esseri umani dalla capacità di stare dentro a una relazione autentica, fatta di compromessi, battute d’arresto e momenti di inevitabile infelicità, laddove l’altro non può rispecchiare costantemente i propri bisogni e aspettative.
Lei (Her): l’insidioso bisogno di plasmare l’altro a propria immagine e somiglianza
L’invisibile Samantha (doppiata in originale da Scarlett Johansson e da Micaela Ramazzotti nella versione italiana), l’OS di cui Theodore si innamora a sua volta ricambiato, ha il pregio di essere completamente priva del bisogno di giudicare il suo compagno, amandolo con assoluta dedizione qualunque scelta decida di compiere e supportandolo con entusiasmo nell’espansione dei suoi orizzonti. Orizzonti che in effetti per Samantha sono senza confini, essendo programmata in modo da poter apprendere all’infinito dall’esperienza con gli umani ma che – per lo stesso motivo – mettono a ben presto a dura prova il presupposto dell’esclusività del sentimento, necessità squisitamente umana; Samantha può interagire contemporaneamente con migliaia di persone e altri OS, provando emozioni e sentimenti nuovi che la mettono al cospetto delle infinite possibilità che il mondo e le persone possono offrirle, ponendo Theodore di fronte a un nuovo e inaspettato dilemma sull’amore, per cui cambiare la natura dei fattori non sembra sufficiente e modificarne le problematiche.
La regia di Spike Jonze insiste nel sottolineare il contrasto fra il bisogno umano di intimità e la vastità dell’universo che circonda le persone, vittime di una progressiva incomunicabilità che non sembra trovare soluzione nel ricorso alle macchine, suggerendo che sia proprio l’urgenza della gioia mista alle infinite combinazioni possibili la vera causa della solitudine, in un mondo in cui si può avere tutto e proprio per questo si rischia di non ottenere niente.
Una lettura evidente anche nel rapporto fra Theodore e l’amica di sempre Amy (Amy Adams), così simili eppure impossibilitati a vedere l’eventualità di un legame fra loro, liquidata con superficialità numerosi anni prima senza una ragione razionale, perché la fregatura dell’amore è anche questa, non si può decidere di scegliersi nonostante l’affinità e l’affetto reciproco.
Qual è – dunque – il messaggio di Lei? Come rivelato dallo stesso regista, si tratta di una pellicola che tende a voler sollevare domande, più che offrire risposte, presentando un acuto e simbolico spaccato delle relazioni di oggi, in cui l’altra faccia della medaglia della totale libertà di scelta è destinata ad essere la solitudine, purtroppo o per fortuna. E in cui la tecnologia, dai social in poi, è destinata a mettere in progressiva difficoltà la capacità di entrare in relazione con l’altro vedendolo e amandolo per quello che è, libero da idealizzazioni e proiezioni.