Cannes 2018 – Les filles du soleil: recensione del film di Eva Husson
Les filles du soleil racconta, saltando fra passato e presente, la storia di un gruppo di soldatesse curde in lotta contro l'ISIS, ognuna con un vissuto diverso alle spalle ma tutte accomunate dal desiderio di resistere all'oppressione, sfruttando il potere che il solo essere donne conferisce loro.
Il 3 agosto del 2014, nella zona impervia delle montagne Sinjar, nell’Iraq del nord, le truppe dell’ISIS invasero improvvisamente il territorio di Yazidi, al fine di arrivare a conquistare la preziosa area strategica fra Iraq e Syria. L’attacco provocò il panico fra i 300000 abitanti dell’area e l’ISIS massacrò gran parte degli uomini, rapendo tutte le donne e le bambine che non riuscirono a scappare, riducendole in schiave e violentandole quotidianamente. I bambini, invece, vennero inviati presso una scuola jihadista per essere addestrati ad uccidere a partire dall’età di 3 anni. Dopo aver aspettato invano per due lunghi anni l’intervento dei politici di Yazidi e delle forze di liberazione americane, il gruppo di donne coraggiose organizzarono una resistenza autonoma, in alleanza con le forze militari siriane. A poco a poco, le donne impararono a imbracciare le armi e a ideare strategie, forti del fatto di non aver più nulla da perdere: sono Les filles du soleil (Girls of the Sun).
Il film di Eva Husson narra dall’interno le vicissitudini di tali impavide donne, guerriere loro malgrado, ma forti del controllo psicologico sulle truppe dell’ISIS, i cui membri sono convinti che essere uccisi per mano di una donna comporti l’esclusione da un paradiso che – paradossalmente – sono convinti di meritare. Una giornalista francese, Mathilde (Emmanuelle Bercot) vive all’interno dell’esercito femminile per documentarne fatti e sentimenti, forte dell’amicizia funzionale con la carismatica leader Bahar (Golshifteh Farahani), una donna con la quale ha molto in comune ma la cui forza e coraggio restano inarrivabili.
Les filles du soleil: un romanzo forzato e patinato su una guerra fatta di sangue, orrore e spietata realtà
Les filles du soleil racconta, saltando fra passato e presente, la storia di queste soldatesse straordinarie, ognuna con un vissuto diverso alle spalle ma tutte accomunate dal desiderio di resistere, sfruttando il potere che il solo essere donne conferisce loro. Bahar ha perso quasi tutto nella vita ma ha ancora un grande obiettivo: raggiungere la scuola jihadista nella speranza di ritrovarvi il figlioletto, rapito dai soldati dell’ISIS. Mathilde segue strategie e spostamenti del piccolo esercito un passo indietro, chiusa in un dolore troppo grande che l’ha portata a fuggire e a rischiare ma senza riuscire a mettersi davvero in gioco.
Eva Husson racconta questo importantissimo spaccato storico scegliendo una narrazione patinata, che cerca il pathos attraverso l’immagine studiata e lo sguardo al ralenti della sua straordinaria interprete (Farahani). Il risultato è un melodramma artificioso, costellato di particolari a dir poco surreali (uno su tutti la disponibilità di un cellulare dopo anni di prigionia) e di personaggi le cui dinamiche interpersonali vengono raccontate ma mai fatte vivere in modo più viscerale, relegando la stessa Bercot al ruolo di pretesto narrativo per raccontare una favola che – partendo dallo scopo di valorizzare Les filles du soleil – finisce per renderle talmente lontane da un’ipotetica realtà da banalizzarne le gesta.
Le filles du soleil – come se non bastasse – sceglie di chiudere il cerchio delle imprese delle protagoniste con un finale ancor più romanzato, attraverso cui la regista ha sicuramente voluto rendere più accessibili vicende caratterizzate da una violenza indicibile, ma talmente attuali da meritare doverosamente – se si decide di raccontarle – il rispetto di un più accurato realismo.
Il film di Eva Husson arriverà nelle sale cinematografiche italiane in data da definirsi, distribuito da BIM; nel cast di Les filles du soleil troviamo anche Zübeyde Bulut, Sinama Alievi, Roza Mirzoiani, Zinaida Gasoiani, Maia Shamoevi, Nia Mirianashvili.