TFF35 – Let the Sunshine In: recensione del film con Juliette Binoche
La recensione di Let the Sunshine In, il film che protagonista Juliette Binoche presentato al Torino Film Festival 2017
Stivali alti e suscettibilità al limite del sostenibile: Juliette Binoche è la nevrotica protagonista dell’ultimo film della regista francese Claire Denis (Chocolat, Cannibal Love – Mangiata Viva, L’intrus, White Material), presentato alla 70ª edizione del Festival di Cannes nella sezione della Quinzaine e all’ultimo Torino Film Festival nella programmazione della Festa Mobile. Let the Sunshine In è la ricerca ossessiva, sterile, squilibrata del fantomatico amore che sta lentamente logorando un’instabile protagonista, pronta a mostrarsi (molto spesso) nuda e patetica a uno spettatore divertito, prima di arrivare a sciogliersi definitivamente nella pozza formatasi dalle sue stesse lacrime.
Isabelle va al letto con molti uomini, ma con nessuno di questi riesce a instaurare una relazione. Attori, ex mariti, galleristi, uomini d’affari. Alti, bassi, grossi, esili. Di tutti i tipi, di tutte le estrazioni, di tutti i mestieri. Lei, artista parigina dal carattere fragile, vorrebbe soltanto non trovarsi ogni sera sola a piangere, destino che sembra invece investirla giorno dopo giorno, senza possibilità di cambiamento. Eppure Isabelle è decisa a non lasciarsi abbattere, proseguendo con incontri più o meno occasionali, che finiranno nel tempo per logorarla.
Let the Sunshine In: Juliette Binoche si veste, si spoglia poi si riveste ancora in un film sfibrante
Claire Denis esplora l’animo inquieto di una donna che ha intrapreso i propri incerti passi sulla via di una psicosi annunciata, un’insopportabile lagnosa caduta nelle grinfie di una depressione malamente tratteggiata, resa in fase di scrittura come un’ingenuità puerile e, per buona parte, meritevole delle sfortune che sembrano tristemente demotivarla. Diventata per la cineasta europea un pupazzetto piagnucolante, incapace nel gestire sé stessa e i suoi assurdi rapporti, Juliette Binoche si veste, si spoglia poi si riveste ancora in un film che significa per il pubblico un’esperienza cinematografica al limite dello sfibrante. Una pellicola vuota, a differenza dell’illusione viscerale che vuole far passare, ma che nella sua lampante incompiutezza rende il comportamento e le azioni della protagonista insensate e, con sincero pietismo, ridicole.
Neanche un’ottima attrice come la vincitrice del Premio Oscar Juliette Binoche sembra in grado di dare spessore ad un personaggio principale che, approcciandosi con i propri uomini attraverso indicibili e imbarazzanti dialoghi, si addentra con inflessione da macchietta nelle avventure inconcludenti dell’appassionata d’arte contemporanea, finta al pari dell’atmosfera impostata e della recitazione di tutti gli interpreti del film, costretti a risibili, a tratti insopportabili, momenti di scarso cinema.
È dunque proprio nella stesura della sceneggiatura ad opera della stessa Claire Denis e fiancheggiata dalla sua collaboratrice Christine Angot che risiede l’irrimediabile problema di Let the Sunshine In, la storia di una donna debole che si vuol far passare per eccellente amante, ma condizionata da un alto tasso di influenzabilità che la rende soltanto una marionetta del sesso, della necessità di affetto, non quello doloroso di chi non riesce a trovare il proprio posto nel mondo accanto a qualcuno che possa amarlo, ma il superficiale sentimento che intercorre di scena in scena nell’alquanto discutibile pellicola.
Presentato in una difettosa confezione, che va quindi ad uniformarsi con sintonia al contenuto misero di Let the Sunshine In, il film si avvale per l’occasione – vista la pretesa di configurarsi al pari di un trattato artistico sul tumultuoso animo femminile – di una regia anche questa falsamente artistica, difettata ancor di più dal montaggio netto e di dubbia efficacia del professionista Guy Lecorne. Accompagnato in chiusura dai titoli di coda più snervanti della storia del cinema, Let the Sunshine In avrebbe funzionato se l’intenzione di Claire Denis avesse virato su una vena anche solo leggermente comica seppur dal forte cuore malinconico, invece di tentare in una dimensione funesta tra il romantico e il patetico.