TFF37 – Letto n.6: recensione del film di Milena Cocozza
Una ghost-story basica, costruita su fondamenta che poco hanno da offrire alla platea di turno in termini di variazione sul modus operandi e sulla drammaturgia.
Tra le proposte della sezione After Hours del 37° Torino Film Festival c’è stata anche un po’ d’Italia, la cui cinematografia di genere ha risposto alla chiamata della kermesse piemontese con ben due pellicole dirette da cineaste nostrane. Una di queste è Letto n. 6 di Milena Cocozza, arrivata all’esordio dietro la macchina da presa dopo un lungo apprendistato e un’importante carriera come aiuto regista. Tra le varie collaborazioni quella con i Manetti Bros. è senza dubbio quella più significativa, feconda e continuativa. E non potevano essere che loro a scrivere e produrre il film, prossimamente nelle sale con 01 Distribution.
La vicenda narrata è quella di una giovane dottoressa segretamente incinta di nome Bianca Valentino, assunta in un ospedale pediatrico per coprire i turni di notte in reparto. Bianca si ritrova immersa in un ambiente che, dietro la sua immagine rassicurante, nasconde un terrificante segreto legato al suo passato di manicomio infantile.Il fantasma di un bambino si aggira tra i corridoi tormentandola e trasformando le sue notti in clinica in un incubo senza fine.
Letto n. 6: una ghost-story basica
Per la sua opera prima, la Cocozza sceglie dunque di confrontarsi con una storia di fantasmi in piena regola, che sfrutta e prende in prestito le regole del genere in questione nel tentativo, almeno sulla carta, di provare con gusto cinefilo e una corposa dose di ironia a personalizzarlo. Tentativo, questo, solo in parte riuscito a causa dell’enorme quantità di stilemi ampiamente codificati, ai quali si vanno ad aggiungere stereotipi che non è semplice destrutturare o rinnovare. Ma queste sono problematiche ataviche con le quali tutti coloro che si confrontano con il filone in questione devono fare i conti. La differenza è come ciò avviene, tanto in fase di scrittura quanto in quella di messa in quadro. In tal senso, la regista prende in consegna una ghost-story basica, costruita su fondamenta che poco hanno da offrire alla platea di turno in termini di variazione sul modus operandi e sulla drammaturgia adottati.
Letto n. 6: Carolina Crescentini alterna momenti nei quali risulta in parte ad altri che la vedono come un pesce fuor d’acqua
La scelta di ambientare il tutto in una struttura ospedaliera a gestione religiosa che in passato aveva ospitato un manicomio non gioca di certo a favore dell’originalità. Puntare tutto su segreti sepolti e bambini misteriosi calati in un’ambientazione che rappresenta un must del genere, non può fare altro che indirizzare il plot e le one-lines dei personaggi verso un agglomerato di situazioni già viste e di riflesso prevedibili nello sviluppo, soprattutto in vista della risoluzione della matassa mistery e dell’effetto shocker che ci sono dietro l’odissea ectoplasmatica che travolge la protagonista. Quest’ultima è interpretata da una Carolina Crescentini che alterna momenti nei quali risulta in parte ad altri che la vedono come un pesce fuor d’acqua.
Letto n. 6: la maternità e le debolezze umane dominano la trama del film di Milena Cocozza
Come spesso accade il genere si fa portatrice di tematiche dal peso rilevante. Letto n. 6 in questo non fa eccezione, con argomentazioni che scorrono nelle venature dello script dando sostanza al racconto. Qui si chiamano in causa la maternità, gli ostacoli lavorativi che una donna deve affrontare se non vuole rinunciare non solo al lavoro stesso, ma anche alla carriera, ma anche la debolezza umana e i danni, talvolta irreparabili, che questa debolezza porta con sé. La loro presenza mette nelle condizioni il progetto di uscire da una dimensione di solo ludico intrattenimento. Intrattenimento che, dal canto suo invece, si caratterizza per degli alti e bassi, dove i primi trovano l’opportunità di mettersi in mostra con sequenze efficaci dal punto di vista tecnico (su tutte quella che vede la stanza della guardia medica capovolgersi).
Nota di merito per la colonna sonora firmata da Motta e per il sound design, entrambi capaci di aumentare in maniera esponenziale e di accompagnare in maniera funzionale i sali e scendi di tensione.