Limbo’s Fragment: la recensione del corto di Luciano Attinà
Nawal Soufi e il campo profughi di Moria sono al centro del cortometraggio dell'autore.
Limbo’s Fragment è un intenso cortometraggio di Luciano Attinà (già montatore RAI e autore di videoclip e documentari come Punk@Bo) che prosegue nel suo percorso coerente fin dall’inizio, tra sperimentazione visiva e forti sottotesti politici.
Con sottotesti che esondano fin dalle immagini, Limbo’s Fragment è la storia del campo profughi (oramai distrutto) di Moria e della tendopoli adiacente visto attraverso gli occhi di Nawal Soufi.
Nawal cammina fianco a fianco dei migranti sulle rotte europee e in relativamente poco tempo è diventata un punto di riferimento non da poco per chi vuole affermare la propria dignità.
E quello dei migranti è un argomento caldissimo, a forte rischio di omologazione, un tema che deve essere trattato con mille riguardi per non cadere nelle facili trappole della retorica: perché i migranti hanno attorno una realtà che fatica ad accettarli, a riconoscerli, a riprenderli dai margini dove rimangono residuali.
Nawal ama definirsi (e lo fa anche all’inizio del lavoro di Attinà) “migrante in terra di migranti”, e vive tra felicità e speranza, tra il dolore delle madri che devono gettare in mare i cadaveri dei figli e la gioia di un matrimonio improvvisato in un campo con un abito da sposa che costa qualche decina di euro ma vale almeno un milione di volte di più.
Limbo’s Fragment allora si colloca al di fuori di tutto questo magma: perché decide di raccontare la storia al centro delle immagini senza assumere punti di vista, posizioni, senza sposare ideologie, ma semplicemente diventando lo sguardo e la voce di Nawal.
Il campo profughi di Moria, nell’isola di Lesbo, era il più grande d’Europa e per molti aspetti anche il simbolo di accoglienza della Fortezza Europa: me nel 2020 le fiamme divampate lo hanno distrutto, annientato e carbonizzato, i suoi 11.000 abitanti lasciati senza dimora.
Era anche un campo governativo per richiedenti asilo, costruito al centro dell’isola e strutturato per accogliere 3.000 ospiti arrivando però nel marzo 2020 a sette volte tanto (20.000 profughi). Fu quello il momento in cui Erdogan ha deciso di fare pressione sull’Europa aprendo le frontiere turche e incentivando i profughi presenti nel suo paese per muoversi verso i confini sia a Kastanies, sia a Lesbo e Samos.
Certo è che al di là di ogni sovrappensiero nel campo di Moria c’era un bagno per 160 persone, un tasso di violenza altissimo e tentativi di suicidio e autolesionismo da parte di bambini.
In questo nucleo ribollente, il corto come si diceva sopra non prende nessuna strada, probabilmente per legarsi quanto più possibile alla realtà senza trasfigurarla: ma l’incidente di percorso è che la realtà è declinata attraverso le parole di Nawal, assumendo quindi i contorni di un diario personale e non di un resoconto.
Limbo’s Fragment: valutazione e conclusione
Mentre allora Zerocalcare – giusto per citare un altro autore che ha deciso di usare la sua arte per urlare in faccia agli spettatori più o meno distratti gli errori del mondo – con la sua ultima graphic novel No Sleep Till Shengal (seguito di Kobane Calling) torna in Medio Oriente per puntare i riflettori sul popolo dimenticato degli Ezidi, stanziati nel nord dell’Iraq e sopravvissuti al genocidio dell’ISIS tentando quindi un’esperienza di autogoverno democratico e per questo minacciati dal Kurdistan iracheno alleato di Erdogan, riuscendo però ad usare l’ironia per mantenere la “giusta distanza”; Limbo’s Fragment la distanza la annulla e anzi si annulla lui stesso nelle parole della sua protagonista, prendendo una posizione forte e per questo criticabile.
Niente di male, ma l’impianto teorico si allontana dal cinema del reale perseguito da Attinà diventando un atto politico, una forza di ribellione, un contrappasso per distruggere i limiti di una tirannia tardocapitalista.