Limitless: recensione del film con Bradley Cooper e Robert De Niro
Dicono che usiamo solo il 20% del nostro cervello, e se invece avessimo accesso al 100 per cento? Tutte quelle nozioni incastrate nel dimenticatoio, informazioni che non ricordavamo nemmeno di aver appreso, ritornerebbero a galla facendoci apparire splendidi, sicuri di noi e senza limiti, ovvero Limitless.
Il film diretto da Neil Burger nel 2001, tratto dal romanzo Territori oscuri (The Dark Fields) di Alan Glynn, si spinge nel territorio intrigante e sperimentale delle droghe, espandendo l’immaginazione a dismisura e raccontandoci come possano capovolgersi le cose semplicemente assumendo una piccola e apparentemente innocua pillola.
Limitless: vi piacerebbe essere dei geni assumendo semplicemente una pillola?
È ciò che succede allo scrittore Eddie Morra (Bradley Cooper) che vediamo camminare svogliatamente tra le caotiche strade di New York. Il suo mestiere è inventare, creare nuove storie; e cliché vuole che i creativi vivano in uno status di confusione nel quale riescono probabilmente a trovare l’ordine, che si alzino un mattino con una geniale idea in testa e, se tutti gli astri sono al loro posto, può darsi che arrivino a partorire un’opera piacente e sensazionali agli occhi altrui. Esiste però anche un piccolo intoppo col quale ogni scrittore prima o poi si ritrova a fare i conti: il blocco che si pone tra la tastiera e la mente e che impedisce di portare a termine il lavoro.
Questo assale Eddie: capelli lunghi, vestiti lerci; è il ritratto più bistrattato dell’arte che credeva di sfondare il mondo e invece se ne resta a marcire in un appartamento della Grande Mela che puzza di piatti sporchi e letto disfatto. Una vita devastata, se a questo si aggiunge anche l’abbandono da parte della fidanzata Lindy (Abbie Cornish): una donna in carriera che si è guadagnata il suo posto con fatica e sembra non avere intenzione di farsi mettere i bastoni tra le ruote da un tizio con poca voglia di fare.
Eppure le cose possono cambiare: lo sporco si pulisce, le pagine bianche si riempiono d’un tratto di parole, le lingue ascoltate per caso diventano proprie, le donne cascano ai propri piedi e il mondo inizia a girare per il verso giusto.
Come è possibile? Grazie al casuale incontro con l’ex cognato Vernon Gant (Johnny Whitworth), atavico spacciatore, che gli propone un farmaco sperimentale in grado di aumentare le capacità cognitive, noto come NZT-48. Il protagonista lo assume senza pensarci troppo su e d’un tratto si rende conto di essere cambiato, ciò che prima era confuso e incerto adesso appare cristallino e la soluzione è scontata.
Tutto traboccava nei miei lobi frontali, mescolandosi in un frizzantissimo cocktail di informazioni utilissime…
Rassetta il suo appartamento, sorprende e seduce la moglie del suo padrone di casa ma, quando l’indomani manda una sonda in perlustrazione del suo cervello si ritrova esattamente ciò che era: l’inconcludente, indeciso e in molti casi deriso Eddie Morra.
Il protagonista di Limitless si ritrova allora a fare quello che molto probabilmente farebbe chiunque: procurarsi quel miracoloso farmaco che, l’avrete capito, è solo una potentissima droga. Completa quel maledetto libro da consegnare alla casa editrice, impara a suonare il piano, a parlare più lingue, a lottare a mani nude; riconquista la sua fidanzata, si butta in borsa, si fa nuovi amici. La sua vita, insomma, va a gonfie vele, ma è perennemente legata al famoso farmaco nootropo che fa di lui ciò che naturalmente non potrebbe mai essere. Nel mentre anche cattive compagnie gli si sono messe inevitabilmente alle calcagna.
Bradley Cooper, in tutto questo marasma confusionario, regala un’interpretazione magnifica e stravolgente incarnando due personalità differenti. Il doppio convive sotto la sua pelle con richiami di dostoevskijana memoria: si racconta dall’esterno, elogiando la parte innaturale di sé e oscurando ciò che veramente è. Luce e tenebre albergano nell’immagine dell’attore, lasciando emergere a grandi linee tutte le sfumature dello sdoppiamento percorse dalla letteratura otto-novecentesca e intersecandosi col grido assiduo del nostro tempo: il perfezionamento di una maschera che ci tuteli dal mondo; la manifestazione fittizia di ciò che vorremmo essere.
Nel sentirsi invincibile e indistruttibile, Eddie sottolinea un’altra crisi del nostro tempo: quella di non accettare le sconfitte; il bisogno di sentirsi appagati, osannati, di avere sempre la risposta pronta.
In Limitless il doppio convive sotto la pelle di Bradley Cooper con richiami di dostoevskijana memoria
A questo si unisce una regia labirintica e caleidoscopica, in grado di sfruttare la profondità e l’immediatezza per proiettarci oltre i confini della città. Dal centro giungiamo all’altro capo di New York, immedesimandoci istantaneamente nella situazione del protagonista. La macchina da presa alterna soggettive infallibili e la fotografia incastra con la perfezione di un cubo di Rubik la brillantezza delle situazioni che si realizzano quando Eddie è sotto l’effetto della pillola alla cupezza denotata dalla mancata assunzione.
A far da sfondo a scenari mozzafiato: feste, mare, gite, incontri, cene; una musica ritmica e incalzante, rock quanto basta a martellare le tempie, ripetitiva quando necessario e adrenalinica al momento giusto. Un colpo di chitarra e uno alla batteria per rimpiazzare lo spostamento.
C’è però un lato negativo del farmaco NZT-48. È che Eddie si gasa delle cose che è in grado di fare e inizia aumentare le dosi d’assunzione, fino a dimenticarsi quello che ha fatto e dove si trovava nelle ore precedenti, quelle in cui era sotto l’effetto della droga.
A tutto questo si unisce l’incontro con l’uomo d’affari Carl Van Loon, interpretato dall’impeccabile Robert De Niro: un uomo che sa il fatto suo e rimane sorpreso dalle previsioni di Eddie e dalle sue capacità di investire in borsa. Ma basta non prendere la pillola per un giorno, che tutto si sfalda, la brillantezza svanisce e la fiducia si frantuma.
Le pillole di NZT-48, infatti, non sono eterne e, questione ancora più grave, se non assunte con regolarità portano ad avere crisi d’astinenza e, laddove vengano sospese con irruenza, conducono dritti alla morte.
A questa situazione spiazzante si aggiungono gli inseguimenti pressanti di chi vuole la droga, tra cui il mafioso russo con i suoi scagnozzi e la figura del controverso Carl, che scopre il segreto del protagonista e cerca di ricattarlo.
In Limitless, però, oltre agli uomini legati a questa dipendenza, si erge anche chi rimane lucidamente consapevole che quella non è la strada percorribile. Lindy, che si trova costretta ad assumere la droga, si accorge delle sue potenzialità ma anche dello sdoppiamento della sua personalità. “Non ero io” spiega al fidanzato Eddie.
Il finale del film, col protagonista in piena campagna elettorale, lascia basiti e in bilico. Lo spettatore non comprende appieno se Eddie sia riuscito a migliorare la pillola o se è naturalmente diventato un genio.
Il confine che si pone tra verità e menzogna è un artificio degno di un thriller paranoico e fantascientifico quanto basta; un film che sa divertire e far riflettere su quanto il nostro secolo sia succube delle manie di grandezza, degli antidepressivi e della finzione intesa come puro stile di vita.