Venezia 79 – L’immensità: recensione del film di Emanuele Crialese
La recensione de L'immensità, il film di Emanuele Crialese con Penélope Cruz e Luana Giuliani presentato a Venezia 2022.
Per la terza volta consecutiva, Emanuele Crialese vede un proprio film presentato alla Mostra di Venezia, con il suo L’immensità, con protagonista Penélope Cruz, in gara per il Leone d’oro a Venezia 79. Il regista romano è anche autore del soggetto e della sceneggiatura, quest’ultima firmata a sei mani assieme a Francesca Manieri e Vittorio Moroni.
A fare da sfondo alla vicenda è la Roma degli anni ’70, dove Carla (Cruz) e Felice (Vincenzo Amato) abitano con i tre figli: Diana (Maria Chiara Goretti), Gino (Patrizio Francioni) e Adriana (Luana Giuliani). Quest’ultima, dodicenne, rifiuta il proprio nome facendosi chiamare Andrea, sentendosi un maschio e sicura di essere nata nel corpo sbagliato. La giovane vive con difficoltà le proprie sensazioni, acuite dalla crisi che ormai da tempo logora il rapporto dei genitori. Mentre assiste al progressivo crollo mentale della madre, Adriana incontra Sara (Penelope Nieto Conti), coetanea che vive tra le baracche di un campo che un canneto separa da casa sua, con la quale instaura un’amicizia preziosa.
L’immensità: l’illusione della musica come via di fuga da una società sorda
La famiglia, tema tanto caro a Crialese, diventa il luogo in cui l’espressone individuale è soffocata, schiava ma al contempo fautrice di logiche patriarcali che 50 anni fa erano la norma, e di cui ancora oggi porta gli strascichi. È ben poco lo spazio lasciato al gioco o all’anomalia, in una casa dove vige la regola di un silenzio imposto dalla figura paterna. Mamma Clara è la prima a essere prigioniera di questa condizione, da cui cerca come può di far evadere i figli, esortandoli ogni volta che ne ha occasione a farsi sentire, a fare quel “rumore” che è il titolo della canzone di Raffaella Carrà che la donna ama ballare con i bambini.
Uscire dal tracciato, anche se è per reclamare la propria individualità, non è tuttavia contemplato da una società divorata dall’ipocrisia che si ostina a vedere l’errore nell’altro, nel “diverso”, ma che concede a un uomo di avere relazioni extramatrimoniali per poi tornare al focolare ed esigere che la moglie soddisfi ogni sua richiesta. Cresciuta in un simile contesto, la vita che la circonda non può offrire ad Adriana le risposte che cerca, costringendola a guardare altrove. I suoi occhi si rivolgono così al cielo, nella speranza che misteriosi alieni la portino in salvo; le sue mani si fanno strada fra le canne per raggiungere Sara, in cui trova qualcuno a cui aprire il proprio cuore; le sue orecchie isolano le voci degli adulti circostanti per accogliere le note dei brani cantati dalle icone in bianco e nero alla TV. Restia a condividere i sentimenti che prova, è esattamente impersonando le stelle della musica italiana che Adriana esprime la propria interiorità. Crialese allestisce veri e propri numeri musicali che ricreano esibizioni immortali del piccolo schermo nostrano, mettendo ad esempio la giovane nei panni di Adriano Celentano e Carla in quelli della Carrà mentre intonano Prisencolinensinainciusol. Come spesso accade nella filmografia dell’autore, in una realtà dove raramente ci viene tesa una mano, è l’illusione la via di fuga, sia essa la musica o la promessa di un mondo senza muri che Grazia vedeva nel mare in Respiro.
L’immensità non è però la storia della sola Adriana e sempre più porta in primo piano la tragedia di Carla, ugualmente prigioniera e costretta a subire le costrizioni del marito violento e fedifrago. Penélope Cruz incarna magnificamente la fragilità ma anche la grande forza di una madre disposta a tutto pur di proteggere i propri piccoli. L’attrice è il volto che traina il dramma al centro del lungometraggio, soprattutto quando si tratta di sopperire alle performance acerbe degli interpreti più giovani. Nel seguire queste due strade, tuttavia, il titolo finisce per perdersi, sospingendo ad esempio sullo sfondo la ricerca identitaria da parte di Adriana e, nel concludersi, madre e figlia sono ugualmente private della risoluzione che meritavano.
La grande prova di Penélope Cruz non basta a far svanire il senso di incompiutezza del lavoro di Crialese
L’ultima fatica di Crialese conta certamente su un grande afflato emotivo e una messa in scena che, complici le suggestioni autobiografiche del regista, ben raccontano lo spirito ribelle di personaggi che anelano alla libertà. Le storie di Carla e Adriana, prese da sole, avrebbero costituito materiale sufficiente attorno a cui cucire un lungometraggio, ma nel vederle scorrere insieme, il loro dipanarsi sembra avvenire in modo indipendente l’una dall’altra, con la prima che rischia di fagocitare la seconda. Una minaccia che si concretizza nel finale “incompiuto” e che che nega al film la possibilità di essere definito “memorabile”.
Distribuito da Warner Bros. Pictures, con una data di uscita italiana fissata al 15 settembre, L’immenso è il quinto lungometraggio diretto da Emanuele Crialese. Del cast fanno parte Penélope Cruz, Luana Giuliani, Vincenzo Amato, Patrizio Francioni, Maria Chiara Goretti, Penelope Nieto Conti, Alvia Reale, India Santella, Mariangela Granelli e Valentina Cenni.