Little Jaffna: recensione del film da Venezia 81

In Little Jaffna, primo lungometraggio di Lawrence Valin, un poliziotto s’infiltra in un’associazione a delinquere nel quartiere a maggioranza tamil di Parigi con l’obiettivo di porre fine alle sue operazioni illecite a favore delle Tigri, terroristi separatisti della madrepatria. Alla Settimane Internazionale della Critica 2024, un dramma teso ed efficace, anche se talvolta parco di dettagli narrativi, che ispira il desiderio di imparare qualcosa sul recente passato dello Sri Lanka, Paese-mattatoio in cui si è consumato un genocidio dimenticato

Little Jaffna: l’epos solitario di Micheal, parigino tamil alla ricerca di riconoscimento (come suo padre, contro suo padre)

A Michael, poliziotto parigino di origini tamil, la nonna ha insegnato a comportarsi da francese, per prima cosa educandolo a mangiare in ogni circostanza con la forchetta. Ha il viso appuntito e coperto di macchie – aree di pelle depigmentata, bianco a contrasto col nero di un’identità difforme già dall’epidermide – su cui risaltano occhi umidi e sporgenti, scurissimi. Su quegli occhi il film, diretto e interpretato da Lawrence Valin (1989), che già nel 2017 aveva realizzato un cortometraggio con lo stesso titolo dell’opera che ora presenta alla Settimana Internazionale della Critica, si aggrappa per sbirciare le emozioni di un protagonista perlopiù compassato nei modi e congelato nei sentimenti, giovane uomo di cui scopriamo poco a poco sia la divisione soggettiva sia la repressione del conflitto che ne deriva, cheto e furibondo insieme. 

Ottenuto l’incarico di infiltrarsi in un gruppo criminale dedito a estorsioni e riciclaggio di denaro sporco con la finalità di finanziare l’attività eversiva delle Tigri Tamil, organizzazione paramilitare di stampo terroristico che, nei venticinque anni della guerra civile in Sri Lanka, ha portato avanti con ineguagliabile ferocia la causa separatista tamil, Michael s’insinua nel distretto chiamato ‘Piccola Jaffna’ e, pian piano, entra nelle grazie di Aya, leader carismatico della banda criminale, figura su cui trasferisce le ambiguità affettive rimaste inespresse nei confronti del padre perso da neonato. 

La vicenda familiare di Michael è segnata dalla violenza della guerra del terrorismo nonché dalla violenza di un lutto che non può allentare il suo morso fino a che la nonna non si serve della parola per incidere il taglio affrancante e permettere così al nipote di ‘tradire’ il padre, di seguire infine la sua strada: una strada evidentemente francese, in cui l’appartenenza si smarca dal segno linguistico – il cognome –, e quindi dalla possibilità di una sua trasmissione, concentrandosi nello spazio angusto di una fotografia incorniciata, immagine di un passato che ha smesso di essere vivo e di insistere, si è fatto salvificamente memoria. 

Little Jaffna: valutazione e conclusione 

Little Jaffna è un film poco scritto, un film in cui prevale il linguaggio non verbale: silenzi, movimenti sfrenati in una lotta o in una danza, suoni e colori lisergici che bastano a segnalare tensioni traumatiche o, al contrario, liberazioni dal trauma, aperture al nuovo, sollevamenti dalla ripetizione. Pochissime le parole. L’oculatezza espressiva, compensata dall’espressività oculare, s’iscrive in un programma di rigetto della descrizione in favore dell’evocazione: meno si dice parlando, più si dice, secondo il regista che, in questa sua opera prima, centellina le informazioni scegliendo di fondare sull’essenzialità il suo contratto con lo spettatore. Certo, a tratti, vorremmo saperne di più sulla famiglia di Michael e sulla storia dello Sri Lanka lacerato dalla contrapposizione non solo tra etnia tamil ed etnia cingalese, ma anche, all’interno della comunità tamil, tra civili e terroristi, i primi spesso vittime dei secondi. 

Dato il talento dimostrato in questo lungometraggio di debutto, sarebbe interessante se Lawrence Valin potesse partire da Little Jaffna per costruire una rappresentazione seriale che, senza sacrificare la stringatezza fondamentale alla composizione drammaturgica, piegasse tempi finzionali più generosi alla restituzione degli eventi e all’indagine sulle cause dietro gli stessi così da colmare smagliature e lacune del nostro sapere su quel che è avvenuto e avviene al di fuori dei nostri decaduti imperi, in un altrove in cui quasi non c’importa guardare e che è invece foriero di storie minuscole e maiuscole da conoscere.  Little Jaffna accompagna il suo eroe nella sua ricerca di riconoscimento: vuole essere francese, “rispettato come un francese”, ma perché ciò avvenga deve integrare a sé l’altra parte, quella biologica e paradossalmente proprio per questo straniera, cancellando, attraverso l’accoglimento, la macchia di una vergogna che risale al padre, alle sue colpe, alla sua consistenza di sola carne sacrificale che ha reso impossibile l’adozione simbolica, l’eredità dei valori. Nei detti e nei non detti, è un testo che ci suggerisce che chiedere di essere riconosciuti spesso passa per una rottura violenta: ce lo dimostrano tanto le vicissitudini insanguinate dei tamil fratricidi quanto il dilemma di Michael, che, a differenza del padre (e contro di lui), ha bisogno del permesso della nonna per prendere la direzione alternativa al sangue. 

Regia - 4
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.9

Fonte: Un film più evocativo che descrittivo, che ci spinge ad affacciarci su una parte di storia spesso sconosciuta.