Little sister: recensione

Un padre lascia le proprie figlie quando la più grande delle tre è poco più che una bambina, ha la coscienza di ciò che sta succedendo, ma è pervasa dall’impotenza che ti riempie il cuore quando ti rendi conto di non poter impedire ciò che accadrà da un momento all’altro. Little sister è la narrazione dei fatti che avvengono una quindicina d’anni dopo la separazione dal nucleo familiare, quando l’uomo in questione muore lasciando da sole la sua nuova compagna e la figlia da lei avuta, nonchè sorellastra delle tre ragazze frutto del suo primo matrimonio. Il nuovo film di Hirokazu Kore-eda (Nessuno lo sa, Father and son)  racconta la storia di Sachi, Yoshino e Chika tre ragazze che vivono a Kamakura, una tranquilla cittadina poco distante da Tokio, che hanno imparato a badare a se stesse vivendo in una grande e maltenuta casa con annesso giardino, non potendo neanche fare affidamento su una madre (sicuramente più impaurita che menefreghista) che non ha saputo prendere il mano la situazione di una realtà che molti ragazzini dei giorni nostri hanno sperimentato sulla propria pelle.

Little sister: poesia e saggezza convivono in un film che lascia nell’inconsapevolezza di vicende non adeguatamente trattate.

L’evento che scatena l’avvio di una sceneggiatura che sembra voler abbracciare fin troppi temi dell’animo umano, è l’arrivo in casa della piccola sorellastra Suzu, una ragazza apparentemente introversa accolta dalle tre sorelle dopo la morte dell’uomo che è il minimo comune multiplo delle loro esistenze.

Little sister

Ispirato dalla graphic novel Umimachi’s Diary (che è anche il titolo originale del film) di Yoshida Akimi, Kore-eda dà vita ad un intreccio intricato e doloroso di preoccupazioni dell’animo umano: la morte, il rimpianto per gli errori commessi, l’incapacità dell’evitare di ricascarci, il tempo come garante di saggezza e migliorie ma anche tiranno della vita che se ne va trovano coesistenza in poco più di due ore di film che sembra essere incompiuto, lascia un amaro in bocca decisamente poco poetico e più prettamente desideroso di arrivare a delle scoperte che la pellicola non si degna di rivelarci.

Punto forte della narrazione sono le doti attoriali delle protagoniste in particolar modo quelle della 17enne Suzu Hirose (The apology king, Anger) che ha già lavorato sia in TV che nel cinema giapponese ricevendo consensi a destra ed a manca. Haruka Ayase (Mr. Brain, Dearest), Masami Nagasawa (Last friends, Caliber) e Kaho (Otomen, Engine) completano un cast essenziale ma convincente. Senza dimenticare una Kirin Kiki che abbiamo già potuto apprezzare nel ruolo protagonista de Le ricette della signora Toku.

Little sister

Little sister è stato uno dei film selezionati per concorrere alla vittoria della Palma d’oro dell’ultimo festival di Cannes e, come tale, ha tutte le carte in regola per essere considerato un film parecchio “euro-filo”, con una concezione di cinematografia molto vicina a quella a cui siamo più abituati a partire dalle stereotipie dei personaggi fino al finale aperto, passando attraverso il filtro di una colonna sonora dalla quale sarà improbabile non farsi trasportare e di impatti visivi che possediamo nel nostro più immediato background cinefilo.

Giudizio Cinematographe

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.2
Fotografia - 3.2
Recitazione - 3.4
Sonoro - 3.1
Emozione - 2.9

3.2

Voto finale