Lo scopone scientifico: recensione del film di Luigi Comencini
Lo scopone scientifico è un film del 1972, scritto da Rodolfo Sonego e diretto da Luigi Comencini con Alberto Sordi, Silvana Mangano e Bette Davis. Rodolfo Sonego porta in superficie una storia drammatica e reale, importata direttamente dalla strada, dalle periferie dei borghi, coniando l’immortale sodalizio che intercorreva tra la commedia e i grandi fardelli sociali che attanagliavano l’Italia post neorealista. Bette Davis interpreta una signora anziana tanto ricca quanto austera, che è appassionata e fervida credente del gioco delle carte, cosa che la porta a girare il mondo disseminato di sue proprietà a caccia dell’investimento perfetto e del gioco vincente. Peppino (Sordi) e Antonia (Mangano) sono due sfortunati popolani che vivono assieme a tanti altri nelle loro condizioni in una baraccopoli alle porte di Roma, la cui vita è un susseguirsi di lavori sottopagati, acquisti a credito, ignoranza, malafede, la cui esistenza è dilaniata dalle brutture della miseria più bassa, quella psichica. Questa signora imbellettata e solinga torna in Italia per inseguire la primavera, un modo per non sottostare alle leggi del tempo, cercando sempre il tempo migliore per vivere e per giocare al suo amato gioco a carte, Lo scopone Scientifico. Antonia e Peppino sono i suoi fedelissimi avversari di gioco che scelse e che non cambiò mai; lei dal canto suo gioca affiancata alla stesso modo da George (Joseph Cotten) compagno di vita che le starà accanto nonostante i dissidi evidenti della coppia. La tensione è tutta concentrata nel mero gioco a carte da un lato e dalle puntate milionarie che accompagnano le tornate a Scopone. La signora sarà anche un’abile dispensatrice di aforismi e una lungimirante investitrice, ma nel gioco d’azzardo si perde, la sua lucidità viene meno poiché conosce il prezzo del suo gioco, è un gioco spietato e non è in nessun modo pronta a perdere, può permetterselo sicuramente dal punto di vista economico poiché le spese può coprirle da ogni lato, ma la questione etica della perdita la sente molto di più di quanto sia disposta ad ammettere.
Ne Lo scopone scientifico la lotta di classe sembra non avere mai fine, la voglia di essere padrone del proprio tempo, del proprio spazio.
I due popolani giocano con lei con la maschera dell’amicizia ed un grondante desiderio di vincere i milioni che mette in palio, di cui non hanno mai visto un singolo centesimo e per cui da anni a questa parte si allenano strenuamente in attesa di un suo ritorno. Ella in Italia torna assai raramente e quando lo fa vive in un villone stile Scarface adiacente alla borgata in cui vivono miseramente Antonia e Peppino assieme ai figli e a tanti altri nelle loro condizioni, tra i quali spiccano Righetto, abile baro e corteggiatore spietato di Antonia, interpretato da Domenico Modugno e Armando Castellini detto il professore la cui interpretazione valse il Nastro d’argento a Mario Carotenuto. La questione di una ipotetica vincita è un affare di tutto il bidonville: quelle persone si sentono direttamente coinvolte nella vittoria e nella sconfitta poiché un cambio di rotta nel gioco dei due giocatori sortirebbe la tanto agognata svolta di tutte le persone legate dalla stessa condizione e dallo stesso desiderio di rivalsa. Il professore invita la coppia ad avere una strategia, ad un modus preciso che non fosse vincere il semplice bottino di una partita, seppur auspicabile e languido, ma che mirasse a portare via tutto ciò che possedeva la vecchietta: il suo non è uno straparlare poiché il vezzo della signora è sì il gioco, ma il crinale è tutto nella perdita, il professore sa che nella sconfitta la signora sarebbe succube di una frenesia e non potrebbe assolutamente permettere che i due portino a casa anche solo la banconota più misera. Ed è proprio ciò che accade, in una tornata fortunata la coppia sventurata riesce a vincere in modo continuativo, cosa che porta la signora a non smettere di giocare in modo assoluto coinvolgendo tutti a giocare una maratona con puntate al raddoppio che la porta a giocarsi tutto il suo patrimonio in men che non si dica.
Il professore aveva ragione, ma egli è sì un abile stratega ma anche un personaggio dissonante, è l’unico che ha una flebile cultura del capitale, che parla citando le teorie del plusvalore e della storica ed eccentrica teoria del marxismo, eccentrica per quanto le sue parole vagano come foglie tra le menti umili dei popolani. Egli parla ed è l’unico che comprende, l’unico che sa, l’unico da cui le persone vanno per un consiglio, per una parola di conforto, che studia, prodiga e parla della lotta di classe perché lottare significa esistere. L’unico che però non aveva considerato che Peppino, nella sua malinconica ironia, avrebbe ceduto per la stanchezza o per la gioia estrema di vedersi vincere e avvicinarsi al miliardo. Una sola mossa falsa comporta il crollo di tutte le vincite ed è ciò che accade ai due sventurati. Ne Lo scopone scientifico la lotta di classe sembra non avere mai fine, la voglia di essere padrone del proprio tempo, del proprio spazio è un’ Atlantide in disfacimento. Seppur Comencini e Sonego cercano di non farsi prevaricare dalla drammaticità del testo, rilanciano in verità una celebrazione di tematiche quali l’umanità, l’eterna faida sociale tra ricchi e poveri, l’amore tra due persone che conoscono e comprendono gli interminabili difetti dell’altro, tutto suggellato dalla catarsi scenica di Alberto Sordi, vestale e clownesco, di Silvana Mangano formidabile e aristocratica anche con stracci e macchie sui vestiti e Bette Davis, che dalle sue vette rimane una donna caparbia ma primitiva e insolente. Lo scopone scientifico ha visto trionfare Alberto Sordi e Silvana Mangano rispettivamente nei due David di Donatello come migliori attori protagonisti.
Infine, tratto distintivo de Lo scopone scientifico, sono i bambini, i figli della coppia del gioco, non a caso essi sono l’unica via per comprendere realmente il senso di una società refrattaria e dai mille volti, spodestata di ogni vincolo morale e i quali fardelli si ripercuotono direttamente sulle vite dei più piccoli. Essi sono le uniche presenze sature, drammatiche della pellicola, compiono i lavori più disparati e trattengono un cinismo disarmante, contraddistinti da quei volti vitrei e adulti, sono i testimoni più attinenti della condizione del sotto proletariato; l’insofferenza, l’abbandono sono tutti tratti che gravano sulle loro vite maggiormente e in modo assai determinante. La vera partita a carte non è tra persone, ma è tra la razionalità e l’emotività, tra l’aristocrazia e la plebe, tra i primi e gli ultimi, un modo di indagare nei difetti, nei modi e i disagi di una disparità sociale, economica e mentale che imperversava in modo visibile e sensibile nell’Italia dei ’70.