Longlegs: recensione del film horror di Oz Perkins, da Roma FF19

Proclamato dalla critica straniera come miglior horror dell'anno, Longlegs , presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma arriva in tutte le sale dal 31 ottobre 2024

Longlegs, inquadratura triangolare di una soggettazione orrorifica, di un dilemma: quesito, analisi, riduzione, ossessione. Successione di guizzi drammatici che affondano in una dimensione apocalittica e grottesca, costruendo una dimensione surreale che strazia l’intera storia.
Il lungometraggio, presentato in anteprima alla Festa del Cinema di Roma 2024, è l’horror dell’anno; un film che contiene tutti gli elementi classici del genere narrando una storia sinistra, robusta e identificativa di un cinema in discesa. Oz Perkins incastra perfettamente l’utilizzo “inconscio”, psicologico di strumenti tipici della narrazione nera.

Longlegs: splatter investigativo

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Longlegs è l’intuito in cui si infila l’ago per ricercare il DNA di una situazione, triplice e angolare, attraverso la singolarità del protagonista. Reticola intrigata di scene a sé stanti, perfettamente comunicanti tra loro all’interno di un suono insolente, fastidioso che gela il lamento, il grido e il silenzio.
Maika Monroe, interpreta il ruolo di agente di primo ordine: tanto schietta, dinamica, percettiva quanto asociale; personaggio perfetto per la scenografia irrimediabilmente sincera, severa di questo horror; la sua una vita passiva, dedita completamente a un lavoro complicato. La Monroe si muove dentro il perimetro di una situazione autoriale da cui è difficile prendere le distanze: elemento magnetico, perturbante, epicentro ipnotico del male.

La ripresa dopo anni di un thriller da prima pagina; un salto temporale nell’ultimo decennio del secolo scorso e un’estetica filmografica persistente, che inchioda su una parete l’ambizione fallimentare (poi) di Clinton e il “sogno americano”. Gli anni’90 letti a posteriori!

Longlegs: le assenze erotiche e gli esorcismi del glam rock

Longlegs;
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Tutto si regge su un continuo ondeggiamento che proviene dal pavimento di una casa; una presenza che rappresenta una vera e propria installazione che spinge dal basso verso l’alto invertendo suono e provenienza. L’eco e il rimbombo creano confusione, disordine uditivo, un disagio acustico che si impone come linguaggio principale di Longlegs. Un mostro dalla fisicità rara in un’abitazione isolata e frequentata da inquilini da cantina che riflettono il senso di una paura inesplorabile.

L’agente di polizia sarà il centro della storia; un’indagine su se stessa nei luoghi del “sotto e sopra” che si configurano nella struttura a scala, che appare come configurazione dentro una struttura che appare identica a una lastra specchiata che dal niente scuote il tutto.
Una doppia identità che attraversa un Nicolas Cage, inquietante come mai, nelle vesti di un affannato assassino che rimbomba come un terremoto che implode, attraverso l’esorcismo di un glam rock sul nastro e il buio di uno scantinato che raffigura la tipicità topografica di un horror sofisticatissimo.

La sacralità dell’orrore e il male profano

Longlegs;
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Il male o la percezione di esso: Oz Perkins non tralascia questa sensazione ma la esprime all’ennesima potenza. Il trucco, l’inganno e l’effetto che tornano attraverso quell’estetica perversa che accompagna la pace verso la guerra di riflessione; guerra senza scampo in una dimensione che percorre tutte le sacralità dell’orrore. Il paradosso di una scena al chiaro che non ammette il buio ma accende la luce su più piani scricchiolanti che incute nello spettatore uno spavento incontrollabile.
Non c’è controllo, infatti, né prevedibilità!  È una scenografia che agisce alle spalle dello spettatore fino a esaurirlo, deprimerlo, ucciderlo.
La vita di Longlegs è un “Midsommar” lunga tanto da rappresentare tre fasi di se stessa in un solo lungometraggio.  La lagna fanciullesca che implode nella prima parte; la consapevolezza del male; la mancanza assoluta di pietà.  

Longlegs: clinica ed estetica dell’horror di Oz Perkins

Longlegs;
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Ma perché lode a Longlegs? Nella sua primogenita estetica che ribattezza l’horror degli anni ’70, il film si impone come traguardo del terrore per la sua discontinuità narrativa apostrofata da un’intenzione estetica spregevole. I toni sono sempre lividi e trasparenti, opachi e sfocati concettualizzando l’importanza dell’aspetto cinematografico di una determinata impresa ereditata da Mario Bava.

La visione è focalizzata sull’eccentricità dei personaggi completamenti asessuati, virtuosismi che non incidono sul senso umano ma li aspirano come entità soprannaturali. Eppure, il tema è quello religioso, la combinazione tra il sacro, la venerazione e la dedizione o – forse – adorazione dell’onnipresente. Uno scambio linguistico che preclude quella paura di essere avvolti dentro le braccia di qualcuno o qualcosa che non possiamo osservare, capire, delineare, decifrare.

Longlegs: valutazione e conclusione

Oz Perkins salta in alto ma parte dalle fondamenta, dai luoghi del mistero, va a disturbare santi e profani senza delimitare le differenze, in un incesto tra principi e concetti assegnando al suo Longlegs la possibilità di esser figlio diretto dei maestri dell’esoterismo.
Una cortesia che privilegia la cinematografia europea della bellezza del brutale.
Oz Perkins autore di una Bionda in Carrera, sembra paradossalmente scritturare Żuławski ,invertendo ruoli e prototipi con la stessa “drammaticità” di una commedia: non più vittime bionde né mascolinità tossiche. È tutto disturbante all’interno di una logica implicita che si discosta dalla ripetitività di un genere a vantaggio di una cinematografia ironica, spiazzante, grottesca.

Longlegs di Oz Perkins è un horror degno di esser tale!
Presentato alla Festa del Cinema di Roma, distribuito da Neon, Longlegs è al cinema dal 31 ottobre 2024.

Regia - 4.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 4
Emozione - 4

3.9