Venezia 80 – L’ordine del tempo: recensione del film di Liliana Cavani
La recensione del nuovo film di Liliana Cavani, presentato fuori concorso alla Mostra di Venezia e nelle sale dal 31 agosto 2023.
Un regalo migliore la Biennale di Venezia non poteva farlo a Liliana Cavani per i novant’anni compiuti lo scorso 12 gennaio. Alla regista di Carpi è stato conferito uno dei due Leoni d’oro alla carriera (il secondo è andato all’attore Tony Leung Chiu-wai) dell’80esima edizione della Mostra Internazionale D’Arte Cinematografica, la stessa che ha accolto nel ricchissimo programma anche la sua nuova fatica dietro la macchina da presa dal titolo L’ordine del tempo, presentata fuori concorso alla kermesse lidense il giorno prima dell’uscita nelle sale con Vision Distribution il 31 agosto 2023. Un bel biglietto da visita per quello che sancisce al contempo il gradito ritorno dell’artista al festival e sul grande schermo, dove mancava rispettivamente dal 2012 (il documentario Clarisse) e dal 2002 (Il gioco di Ripley). Periodi, questi, che lei ha riempito dirigendo per il piccolo schermo alcune miniserie come ad esempio Mai per amore – Troppo amore e Francesco.
L’ordine del tempo è liberamente ispirato al saggio omonimo di Carlo Rovelli
Nella libera trasposizione de L’ordine del tempo di Carlo Rovelli, al quale si è ispirato anche l’inglese Es Devlin per uno spettacolo teatrale omonimo messo in scena nel 2018 a Londra, la regista ha visto dunque l’occasione giusta per tornare a girare un film per il grande schermo. Per un’artista come lei dal pensiero anticonformista, libero da preconcetti ideologici e svincolato da condizionamenti di sorta, mosso dall’urgenza della ricerca continua di una verità celata nelle parti più nascoste e misteriose dell’animo umano, fino ai confini della spiritualità, il testo firmato dal noto fisico, saggista e divulgatore scientifico italiano nel 2017 sembravo scritto su misura. Non a caso la Cavani lo ha scovato, fatto suo e con l’aiuto in fase di riscrittura di Paolo Costella e dello stesso Rovelli, lo ha plasmato a immagine e somiglianza del suo modo di fare e concepire la Settima Arte, usandolo come punto di partenza per poi approfondire temi a lei cari e centrali nella sua filmografia, a cominciare dall’eterno conflitto tra religione e scienza. Il risultato è un’opera coerente e perfettamente in sintonia con il suo “credo” artistico, portato avanti nei decenni navigando in direzione opposta e contraria alle scie del momento, seppur lontana per quanto concerne la potenza drammaturgica, narrativa e l’impatto performativo del suo cinema migliore, quello de Il portiere di notte per intenderci.
Con L’ordine del tempo, Liliana Cavani si fa carico di temi alti e dal peso specifico rilevante
Ecco allora che L’ordine del tempo si presenta come un’opera in sintonia con chi l’ha concepita, rispettosa del suo pensiero e modus operando, ma non all’altezza della sua grandezza. Rappresenta una tela sulla quale l’autrice ha raffigurato ancora una volta una tensione esistenziale verso il cambiamento di personaggi che cercano risposte a quesiti importanti, soggetti complessi e problematici nei quali si riflette l’irrisolto conflitto fra individuo e società. La Cavani in tal senso non ha mai avuto paura di caricarsi sulle spalle e avvicinarsi a temi alti dal peso specifico rilevante. E non l’ha avuta nemmeno questa volta, affrontandoli senza timori reverenziali in una pellicola che però ha dimostrato purtroppo di non avere le spalle abbastanza grandi e forti per supportarli tutti. Consapevole dei rischi elevatissimi ci a ha provato lo stesso, convinta che fosse venuto il momento di dare forma e sostanza a un’opera che potesse in qualche modo contenerli e riassumerli tutti. Non ce la sentiamo però di definirlo un film testamento, o almeno ci auguriamo che non sia così.
Sotto le mentite spoglie di un disaster-movie in scala ridottissima si cela un dramma corale da camera in odore di kammerspiel
La Cavani mette in quadro con uno stile decisamente classico e asciutto, completamente al servizio del plot e di coloro che lo animano, un film incentrato sul pericolo d’estinzione della specie umana. Detto così potrebbe sembrare al quanto bizzarro pensare alla regista in questione alle prese con un disaster-movie e sfondo post-apocalittico con l’ennesimo meteorite che minaccia il nostro pianeta sulla scia di Deep Impact, Armageddon e del più recente Don’t Look Up. Nulla di più distante anni luce da quello che invece ha “partorito” la collega italiana, ossia un film per niente catastrofico e spettacolare, ma concettuale e interrogativo. Per farlo riunisce sotto lo stesso tetto un gruppo di amici di vecchia data, interpretato da un cast di soliti noti della scena nazionale e internazionale. Sotto questo tetto si consuma un dramma corale da camera in odore di kammerspiel, fatta eccezione per qualche sortita, che in questo caso è quello di una villa con accesso diretto alla spiaggia di una località balneare non meglio identificata da qualche parte nel Bel Paese. Questa funge da cornice per uno scontro ideologico e dialettico tra allarmisti e negazionisti, ribelli e fatalisti, su quello che potrebbe accadere da lì a qualche ora se l’asteroide, battezzato anaconda, entrasse in rotta di collisione con la Terra. Il tempo trascorre e la minaccia si fa sempre più concreta, ma tra un’ipotesi catastrofista e l’altra emergono verità taciute o sepolte che spostano inevitabilmente il discorso, lasciando il disastro collettivo e la tensione per ciò che potrebbe accadere all’umanità in secondo piano per dare il via all’ennesimo giro di valzer di tradimenti e vecchi amori che assomiglia a quelli che vanno normalmente in scena in tanta commedia sentimentale nostrana di ieri e di oggi, ma anche a pellicole decisamente più riuscite come Piccole bugie tra amici.
L’ordine del tempo: valutazione e conclusione
Per il suo ritorno al cinema a ventuno anni dall’ultima volta, Liliana Cavani si ispira e adatta molto liberamente il saggio omonimo di Carlo Rovelli per dare forma e sostanza a un dramma collettivo che ha in sé il germe del disaster-movie in scala ridottissima. Nella matrice letteraria, la regista di Carpi ritrova temi cari e chiave del suo cinema, a cominciare dall’eterna lotta tra la scienza e la religione. La Cavani non si nasconde e affronta temi alti e rilevanti, ma l’enorme peso specifico che li caratterizza non riesce ad essere supportato a dovere dalle sue spalle. Ecco allora che il film ripiega e si ridimensiona, spostando l’attenzione su altro più alla portata come le verità taciute e sepolte, tradimenti e vecchi amori tornati a galla. Il ché riporta il film e i personaggi che lo animano, affidati a un cast di soliti noti della scena nazionale, nel solco già ampiamente tracciato del dramma collettivo incentrato sul solito valzer di tradimenti, vecchi amori e verità taciute che vengono a galla. Dal canto suo la Cavani mette in quadro con uno stile decisamente classico e asciutto, senza fronzoli, una pellicola la cui confezione non soddisfa, anzi risulta molto al di sotto delle reali necessità, come ad esempio il suono in presa diretta presenta non poche criticità o la fotografia piuttosto anonima.