L’origine del mondo: recensione del film di Rossella Inglese
Un film evocativo e toccante, che parla di fragilità e solitudine.
Rossella Inglese dirige il suo primo lungometraggio, L’origine del mondo, presentato alla 22ª edizione di Alice nella città, durante la 19ª Festa del Cinema di Roma, con protagonista Giorgia Faraoni, affiancata da Fabrizio Rongione, Giovanna Di Rauso, Giovanni Calcagno, Luca Pescatore, Roberta Mattei e Jade Pirovano. Dopo aver scritto, diretto e montato cinque cortometraggi, la regista torna a trattare il tema del corpo e dell’identità, a riflettere sulle connessioni umane esaltando il potere dell’amore e la sua duplice capacità distruttiva e rigenerativa.
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L’origine del mondo e l’origine della rinascita di una giovane donna
Eva è una 19enne italiana alle prese con problemi relazionali e con una collera che la porta spesso a perdere le staffe e ad allontanarsi da amici e compagni di scuola. Bruno è un uomo francese di 45 anni e separato dalla moglie. Due vite profondamente diverse che si intrecciano quando Eva, tentando il suicidio, fa uscire fuori strada una macchina, alla cui guida c’era l’ex moglie di Bruno, e che porterà alla morte della donna. Eva, in L’origine del mondo, è l’inquietudine esplosiva e insofferente di una ragazza che vede come unica soluzione quella di sparire, e Fabrizio Rongione è il gelido controllo sulle proprie emozioni. In più di una scena sembrano l’uno il contrario dell’altro. I sentimenti, i turbamenti e l’irruenza di Eva, spesso dati dalla rabbia e da un astio che ha anche verso chi cerca di proteggerla, sono tutti esteriori, visibili, spesso esagitati, senza regole né freni. In un mondo che ha difficoltà a comunicare e parlare con l’altro, mettendosi a nudo, Eva ha una capacità espressiva che spiazza, sorprende e che forse, come tutto ciò che è fuori dal comune, raro e insolito, non piace a tutti.
Allo stesso modo la sofferenza del personaggio di Bruno è celata, epidermica, ostacolata con forza, perché lui stesso è il primo a non riuscire a gestire le contrastanti sensazioni che prova. Se la protagonista è senza dubbio Eva e Rossella Inglese ancora una volta fa uso di un cinema dichiaratamente concentrato sulla figura femminile e su una giovane donna alla ricerca della propria identità personale e sessuale, Bruno rappresenta la figura decisiva che porta Eva a riabbracciare la propria adolescenza, essendo andata forse troppo oltre. Ma non nelle azioni, ma in quell’assillante volontà di non far più parte del mondo. L’origine del mondo, non a caso la protagonista di chiama Eva, affronta quindi non solo il disagio giovanile, ma anche quel gesto estremo che può sopraggiungere dopo. Un atto che appare così tanto insensato e folle, ma su cui bisognerebbe interrogarsi, sopratutto essendo tristemente attuale, e cioè il suicidio.
Riprendere in mano la propria vita
Tutto il film parte dalla scelta di Eva di uccidersi, da quella decisione che avrebbe potuto essere fatale e che invece avvia una reazione a catena. Mostra come quella falsa risoluzione, tanto assurda quanto illogica, abbia, solo nella sua non attuazione, portato Eva ad avere la possibilità di liberarsi dalla propria sofferenza. Lo spettatore segue un’Eva provata dal dolore tra i locali notturni dove osserva i suoi coetanei, sentendosi troppo estranea, lontana e diversa. Eva si muove nel continuo contrasto tra vecchio e nuovo, antico e moderno, industriale e naturale. Un contrasto nel quale il personaggio di Bruno si inserisce lasciandosi travolgente da un’Eva, che nella sua sofferenza, ha questa forza dirompente. La stessa che l’avrebbe spinta al suicidio, ma che nell’incontro con Bruno, è quella che la fa rinascere, ora consapevole di sé. Anche la figura di Bruno è quello spunto di riflessione su come la vita non smetta mai di stupire e mettere alla prova, invitando le persone a modificarsi, migliorarsi, cambiare e dare la possibilità a qualcuno di salvarci. Nell’unione con Eva, Bruno riesce a provare quel trasporto, quel cedere ai sentimenti, quell’amore e quel sentirsi vicino a qualcuno, un calore che, si rende conto, non aveva mai provato.
L’origine del mondo: valutazione e conclusione
L’origine del mondo è un film evocativo e toccante, che parla di fragilità e solitudine, del sentirsi soli con gli altri e soli in mezzo alla gente. Dove la solitudine è interiore, privata, discordante. Una solitudine solo personale, diversa per ognuno, conseguenza di un vissuto che ha più gradi di consapevolezza. La solitudine può voler dire sentirsi lontani, diversi, isolati, chiusi, imprigionati, incompresi, trascurati o abbandonati. Il film di Rossella Inglese, elementare e minimalista nella messa in scena, è un film fatto di sentimenti, di emozioni accennate, di tematiche che si stagliano sullo sfondo: c’è la mancanza di una figura paterna, il revenge porn, la violenza di genere e lo sfruttamento sul lavoro. Tra dialoghi esili e tenui, dove a parlare sono i corpi e gli occhi, dove le esistenze di due persone tanto diverse quanto simili si riconoscono nella comunanza di un dolore e che, per un attimo si uniscono, diventando l’uno momento e figura decisiva nella vita di entrambi. Alle porte di un futuro dove nulla sarà più come prima.
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